Un intreccio di ombre e presenze, tra il tangibile e l’impalpabile va in scena a Teatro di Documenti di Roma
Sul palcoscenico del Teatro di Documenti, è in scena Quando verrà la fin di vita (e questa storia è già finita?), spettacolo proposto dalla Compagnia del Mutamento per la regia e drammaturgia di Stefania Porrino.

Un’opera teatrale che si sviluppa su due livelli narrativi paralleli: uno più radicato nella concretezza della nostra epoca, dove emergono momenti narrativi da atmosfere noir e richiami al genere giallo, l’altro più rarefatto, impalpabile, etereo con una spiccata dimensione filosofica e trascendentale.
Nella narrazione degli accadimenti, il pubblico partecipa alle vicende esistenziali di Virgilio (Giulio Farnese) e Beatrice (Nunzia Greco), una coppia matura senza figli, che affronta il timore dell’invecchiamento e della fine – ma forse della stessa esistenza nel loro futuro che si approssima – cercando di organizzare al meglio l’ultima fase della loro vita, grazie a un’improvvisa eredità ricevuta da un cugino di lui. Il timore della solitudine, la paura di restare senza l’altro e l’angoscia di un futuro incerto permeano la loro storia.
Dall’altro piano narrativo emergono Vir (Rosario Tronnolone) e Bea (Evelina Nazzari), i veri artefici e scrittori di un copione esistenziale, che determinano la storia di Virgilio e Beatrice: incarnazioni della loro stessa coscienza immateriale, esseri fuori dal tempo che, come demiurghi, ne plasmano il destino. Un “teatro nel teatro”, dove i versi declamati da Vir, così come quelli declamati da Bea, sono ripetuti dalla loro rispettiva incarnazione, ed i confini tra reale e metafisico si dissolvono. Sono proprio loro a determinare la sorte della coppia protagonista.
Accanto a Virgilio e Beatrice si muove la figura enigmatica di Pia (Carla Kaamini Carretti), un personaggio dal passato tormentato e dai desideri repressi di rivalsa esistenziale. La sua presenza appare indissolubilmente legata alla casa ereditata, fino a divenire un elemento cardine nello sviluppo della vicenda, conducendola verso un epilogo paradossale.
Tutto prende avvio dal testamento del cugino di Virgilio, che lascia alla coppia un antico casale immerso nella campagna toscana. Tuttavia, il vero nodo drammaturgico non risiede nella proprietà ereditata, quanto nella complessa relazione tra i protagonisti e i loro alter ego astratti.
La particolarità dello spazio scenico del Teatro di Documenti si rivela perfetta per ospitare questo testo intrigante. La sua peculiare architettura richiama la conformazione di una dimora su due livelli, dove dal piano inferiore emergono gli elementi più inquietanti e misteriosi della narrazione.
La scenografia, essenziale ed evocativa, è composta da scatole che custodiscono ricordi sepolti, verità mai sospettate e frammenti di un passato che si riflette in un futuro incerto. Libri accatastati rievocano memorie e prefigurano sviluppi inattesi. I quadri della pittrice Màlgari Onnis, uniti alle musiche di Johann Sebastian Bach e Giuseppe Verdi, rielaborate da Tancredi Rossi Porrini, creano un’atmosfera in bilico tra il reale e l’irreale.
Il sapiente uso delle luci guida lo spettatore nella distinzione tra i due piani narrativi: una predominanza di toni freddi, con sfumature di blu, avvolge Bea e Vir, collocandoli in una dimensione astratta e fuori dal tempo. Al contrario, i colori caldi dello spettro del rosso avvolgono Virgilio e Beatrice, ancorandoli saldamente alla dimensione terrena e al presente tangibile.
Emergono da questa pièce interrogativi profondi e stimolanti: esiste un legame, seppur metafisico, tra le due coppie di personaggi? Virgilio o Vir, Beatrice o Bea: chi di loro può essere considerato il vero protagonista di questa storia? Nessuno dei quattro, oppure entrambi le coppie, oppure un terzo artefice? E la domanda delle domande: siamo realmente padroni della nostra esistenza o c’è qualcosa di più grande che guida le nostre scelte?
Eppure, nonostante la brillante intuizione drammaturgica e registica e la professionale interpretazione di tutti gli interpreti in scena nei ruoli ad essi assegnati, qualcosa sembra essere mancato.

Il testo presenta molti spunti interessanti e momenti di grande valore, ma, forse, la sua lunghezza tende a diluire l’incisività complessiva. Chissà se una maggiore sintesi avrebbe portato ad un più efficace impatto scenico, facendo emergere l’elemento che avrebbe dato pieno compimento alla dicotomia tra reale e ultraterreno, permettendo agli spettatori di oltrepassare il semplice racconto scenico e di spingersi oltre la rappresentazione, verso una riflessione più profonda sulle ragioni della vita e della morte.
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Quando verrà la fin di vita (e questa storia è già finita?) – scritto e diretto da Stefania Porrino con Giulio Farnese, Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Rosario Tronnolone, Carla Kaamini Carretti – Realizzato in collaborazione con il “Centro Studi Vera Pertossi” – Quadri in scena ad opera della pittrice Màlgari Onnis – Musiche di Johann Sebastian Bach e Giuseppe Verdi trascritte da Tancredi Rossi Porrino
Teatro di Documenti dal 7 al 16 marzo 2025
Foto di ©Grazia Menna