Prima assoluta a Palermo. Donatella Finocchiaro protagonista tra parola, video, musica e movimento
Il senso di colpa, al centro di un’indagine conoscitiva sul nostro mondo. Questo l’intento dichiarato di Thérèse, adattamento del romanzo di E. Zola per la regia di Stefano Ricci, che ne firma anche la drammaturgia. Prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, ove ha debuttato lo scorso 21 febbraio, è certamente un’opera complessa, che offre molti spunti di riflessione anche grazie alla molteplicità dei linguaggi comunicativi utilizzati. Al di sopra degli altri, quello del video: un grande schermo sul fondo fa da scena al monologo di apertura, catapultando il pubblico nella macro-cornice di un film. Ma è solo la prima di una lunga serie di “porte” che la narrazione ci condurrà ad attraversare. Botole fisiche ed emotive, in un continuo gioco di scomparse e riemersioni, con una notevole prova anche fisica per i quattro attori.

O per meglio dire, per i cinque: oltre a Donatella Finocchiaro, nel ruolo della protagonista Therese Raquin (ma anche di sé stessa ovvero l’attrice che la interpreta, sempre grazie alla cornice principale), Alberto Carbone, Giulia Eugeni e Alessandra Fazzino, spicca la presenza costante del cameraman (Giulio Magazzù), sguardo onnipresente che non ammette segreti. Tutto quello che accade in scena -o quasi- finisce in diretta sull’enorme schermo, canale un tempo privilegiato, oggi totalizzante e dittatoriale strumento di conoscenza. Da qui in poi inizia un fenomeno strano, quasi un fine esperimento sociale. Ti dividi continuamente tra la visione dell’azione “reale” e quella mediata dalla cinepresa, e il risultato è prima straniante, poi paradossale.
Therese parla di fuga, sangue, scelte dolorose, senso di colpa, pulsione di morte, e a un certo punto non la segui più, non capisci più niente. Ti chiedi solo “Chi ha ragione? Di chi fidarsi? Dell’abituale conforto di uno schermo, con le sue scelte indipendenti da te, pronto a farti vedere quello che sa che ti colpirà, nascondendoti ciò che non gli è utile nel suo paraculismo da reel ben confezionato? Oppure dei nostri occhi, aperti sulla vita reale ma volutamente stuzzicati alla distrazione, non più avvezzi a saper scegliere se seguire la confessione di un omicidio o la danza vorticosa di corpi muti intrecciati su una tavola di legno?”
Il corpo è un altro tema fondamentale di questa realizzazione. Prima di tutto perché è chiamato alla prova costante di mantenere l’equilibrio. Tutti si muovono su un piano inclinato che occupa praticamente l’intero palco. Il tetto di un edificio? Uno stilizzato pendio di montagna? Sta di fatto che quella maledetta pendenza c’è, anche se il cast pare non curarsene. Si cammina, si corre, si salta, si striscia, si balla. Tutto in quella costante inclinazione che dopo un po’ diventa il tuo nuovo orizzonte. Ennesima sfida ai sensi dello spettatore, al comune sentire sociale, alle abitudini, al conformismo cervicale e culturale.
Il regista Stefano Ricci ha dichiarato: “Il moto apparente dei corpi è sempre in relazione a un sistema rispetto al quale lo osserviamo. Il solstizio si basa su coordinate impreviste: per Febo è la volta celeste, per noi uomini la morte; in entrambi i casi si ha l’impressione di un arresto. Cos’è la fine e come attraversare un evento così cruciale da condizionare la nostra esistenza, eppure altrettanto analitico e stordente da rivelarne l’inconsistenza?”

Domande che, durante e dopo la visione della piece, si sommeranno a quelle che avrete già accumulato per vostro conto, nel corso di 90 minuti. Ma non c’è da aspettarsi risposte immediate: Thérèse è una molecola a rilascio prolungato, un evento disorientante su cui rifletterete dopo. Non cerca la quadratura del cerchio, né elargisce facili soluzioni consolatorie. Nemmeno nelle ultime battute, quando ti vuol fare credere che sì, c’è sempre uno spiraglio di speranza a cui aggrapparsi. Quel pendio rimane là, brullo a dominare la scena, e nemmeno le confortanti note di The Reason degli Hoobastank riescono nell’intento di illuminarlo del tutto. Ma forse, più che un intento -la sinestesia appena usata ne è la prova- pure questa è solo una parte del solito grande inganno sensoriale andato avanti per un’ora e mezza. Ora finalmente e amaramente vittorioso.
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Thérèse – ispirato a Thérèse Raquin di Émile Zola – testo e regia Stefano Ricci – con Donatella Finocchiaro, Alberto Carbone, Giulia Eugeni, Alessandra Fazzino – operatore di camera Giulio Magazzù – movimenti Stellario Di Blasi – musiche Andrea Cera – scene Eleonora De Leo – costumi Gianluca Sbicca – light designer Gianni Staropoli – assistente alla regia Liliana Laera – suggeritrice Michela Culmone – direttore di scena Sergio Beghi – coordinatore dei servizi tecnici Giuseppe Baiamonte – capo reparto fonica Pippo Alterno – macchinista Francesco La Manna – elettricista Gabriele Gugliara – sarta Mariella Gerbino – attrezzeria realizzata da Elena Madia, allieva dell’Accademia di Belle Arti di Palermo – costumi realizzati dalla Sartoria del Teatro Biondo di Palermo – amministratore di compagnia Andrea Sofia – Teatro Biondo di Palermo dal 21 febbraio al 2 marzo 2025
produzione Teatro Biondo Palermo