Nelle sale dal 1° febbraio, l’acclamato biopic sui Von Erich; Zack Efron e Jeremy Allen White fratelli nell’iconica e tormentata famiglia del wrestling americano.
“Mamma cercava di proteggerci con Dio. Mio padre con il wrestling” sono queste le parole che sanciscono l’inizio di The Warrior-the Iron Claw di Sean Durkin; a pronunciarle è Kevin Von Eric (Zak Efron), ad oggi unico reale superstite della famosa dinastia del wrestling texano. Famiglia passata alla storia non solo per la notevole fama nel mondo del ring ma per una serie di drammatici eventi che si abbatterono spietatamente sui suoi membri. Questo, si vociferava, per una strana “maledizione” legata al loro cognome ed iniziata già anni indietro con la prematura morte del primogenito Jack Von Eric.
Kevin e i fratelli minori David (Harris Dickinson), Kerry (Jeremy Allen White) e Mike ( Stanley Simons) sono molto uniti, si vogliono bene e vivono nella villa di famiglia assieme al padre Fritz ( Holt McCallany) e la madre Doris (Maura Tierney).
Fritz, proprietario della World Class Championship Wrestling è uomo caparbio e ossessionato dall’obiettivo di portare a casa Von Erich il titolo mondiale NWA dei pesi massimi. Ambizione mai raggiunta nella sua ex carriera da wrestler e ora riversata spietatamente sui propri figli in una fusione tra glorificazione di sogno americano e amore paterno tossico e distruttivo.
Doris è invece una donna fredda, pratica, devota a Dio e al dovere della famiglia, distrutta dal lutto per il primogenito Jack e totalmente incapace di difendere e dare appoggio agli altri figli, costantemente messi alla prova dal marito.
Tutto viene visto tramite gli occhi del maggiore Kevin, qui interpretato da un bravissimo e fisicamente trasformato Zak Efron, Il ragazzo è il primo ad aver fatto sue le ambizioni paterne ,ed è anche il primo ad accorgersi di quanto il padre sia eccessivamente duro con lui e i suoi fratelli, un rapporto malsano da cui i ragazzi non riescono a svincolarsi.
Accade così che a competere per il desiderato titolo non sia solo Kevin ma anche David e a seguire Kerry, un toccante Jeremy Allen White, campione atletico a cui viene negata la partecipazione ai giochi olimpici del 1980. Infine il figlio più piccolo, Mike, che abbandona la sua passione per la musica per compiacere le orme paterne.
Tutti i ragazzi entrano nel circolo vizioso dell’ Iron Claw, la famigerata mossa inventata dal padre Fritz sul ring. I fratelli vincono un match dopo l’atro e la loro fama è inesauribile; da quel momento il turbine degli eventi che li colpiranno è inarrestabile.
Una “maledizione” quella dei Von Erich a cui nessuno dei protagonisti sembra dare apparentemente credito ma che in questo biopic non sembra aver fine, portando sul grande schermo l’ incredulità per una storia famigliare così drammaticamente reale. Una trama talmente inverosimile che ha costretto la stessa regia alla controversa scelta di non mostrare la presenza di un sesto fratello realmente esistito, il minore Chris Von Erich, accomunato ai fratelli dallo stesso drammatico destino.
La verità è che più che di maledizione si può parlare di vera ossessione. Il padre di famiglia Fritz, invece di proteggere i figli dal mondo esterno avrebbe dovuto proteggerli da se stesso, reduce di un proprio fallimento personale che scarica con frustrazione sui figli . Ragazzi cresciuti senza un briciolo di empatia, dove l’unico barlume di affetto o attenzione era concesso nei confronti di chi avesse ottenuto la prestazione più vincente.
Una violenza psicologica costante che non accetta visioni diverse o la più minima forma di fragilità. L’educazione rigida di un padre- generale autoritario e di una madre assente incapace di dare la più minima forma di sostegno con l’inevitabile esito di aver cresciuto uomini esteticamente forti quando psicologicamente deboli.
Kevin e i suoi fratelli sono molto uniti ma l’ombra ambiziosa del padre sembra sempre aver la meglio e presenzia costantemente nelle loro vite mettendoli spesso in rivalità, un’ossessione a compiacere e primeggiare sempre più forte tra i ragazzi, tanto da crearne la loro stessa autodistruzione.
In questa famiglia, formalmente unita quanto disgregata, la solitudine per il successo primeggia e la possibilità di vivere un confronto sano tra i propri membri è impossibile. Fritz è il padre padrone che tiene le redini di una mascolinità tossica che soffoca e annienta lentamente.
Kevin, a differenza dei fratelli, trova la salvezza nel legame con la moglie Pamela (Lily James), una relazione che gli dimostra che nella vita si può essere fragili ed essere lo stesso amati ed accettati. Gli stessi figli della coppia riportano il padre a questo, “puoi piangere papà” gli dicono “noi piangiamo sempre”.
Per quanto una maggiore profondità su alcune dinamiche psicologiche sarebbe stato necessaria, il lungometraggio di 132 minuti riesce a raccontare adeguatamente le vicende non cedendo nell’eccessivo e facile drama che una pellicola del genere poteva suscitare, affrontando quasi con una certa “sportività” una vicenda difficile e dolorosa da portare sul grande schermo. La musica di Richard Reed Parry e Pietro Amato richiama ai suoni evocati dallo stesso ring pur non perdendo di un’ atmosfera cupa che rievoca al tragico destino dei protagonisti.
L’ossessione resta comunque un elemento evidente, di natura diversa rispetto al The Wrestler di Darren Aronofsky del 2008, dove il protagonista Randy Robinson ( Mickey Rourke) viveva nella costante incapacità di liberarsi di quel mondo finto fatto di lotta e spettacolo. Qui la dinamica è diversa, il wrestling c’è, le mosse e le coreografie d’effetto pure ma sono solo un contorno. I giovani Kevin, David, Kerry e Mike vivono nell’ossessione di compiacere un padre emotivamente assente e frustato, incapace di venire incontro ai figli nel momento del bisogno gettandoli nell’oblio più profondo e doloroso: quello di non sentirsi amati.
In the Warrior- The Iron Claw, la maledizione dei Von Erich esiste eccome ma non è da attribuire alla sfortuna o spiritualità, la maledizione di Kevin e i suoi fratelli è loro padre.
The Warrior – The Iron Claw. Regia, soggetto, sceneggiatura di Sean Durkin; con Zak Efron, Jeremy Allen White, Harris Dickinson, Holt McCallany, Maura Tierney, Lily James e Stanley Simons. Musica di Richard Reed Parry e Pietro Amato; fotografia di Mátyás Erdély; montaggio di Matthew Hannam. Produttore Tessa Ross, Derrin Schlesinger, Juliette Howell, Angus Lamont; casa di produzione A24, BBC Films, Access Entertainment, House Productions; distribuzione italiana Eagle Pictures. Nelle sale dall’11 febbraio.
Foto: Eagle Pictures.