The Shrouds, Cronenberg e l’estetica dell’effimero

Cronenberg indaga la precarietà della vita umana e riflette sull’uso della tecnologia come ultima spiaggia per alleviare il dolore del lutto e sentirsi vicini ai propri cari defunti.

Karsh (Vincent Cassel) uomo d’affari proprietario di un cimitero, in seguito alla morte dell’amata moglie (Diane Kruger), ha iniziato ad adoperare una tecnologia rivoluzionaria e controversa che permette ai parenti di osservare e monitorare il corpo dei defunti sepolti e avvolti in un sudario. Una notte delle tombe vengono profanate e da lì un mistero criptico turba e coinvolge Karsh , tormentato nel frattempo dall’assenza della donna che ama, ma attratto dal desiderio di tornare a vivere. 

 Con The Shrouds – Segreti sepolti Cronenberg riserva al corpo umano uno sguardo attento e destabilizzante, analitico e morboso, un’ossessione per la materia che si divincola tra Eros e Thanatos. Nessuna traccia di apertura spirituale, solo corpi straziati e devastati, solo l’estetizzazione della decomposizione e mutilazione umana. Glaciale come sempre, rigoroso e freddo a livello formale, ma dai contenuti turbolenti e passionali, la sua diventa un‘estetica del perturbante, dell’estraneo familiare, dell’immedesimazione destabilizzante con l’altro da sé. La morte è così angosciante perché ci compete, è il nostro futuro, il punto di arrivo e Cronenberg lavora su questa paura ancestrale dello spettatore. È un film nato dall’amore in realtà, una reazione posteriore alla morte della moglie del regista e questa malinconia sottile, questo sentimento nostalgico di base si percepisce ed emoziona. L’immedesimazione con Karsh sembra evidente anche per altri fattori: ad esempio entrambi possono sembrare voyeur del corpo, morto o vivo che sia. Non scappano dallo squallore della putrefazione, ci si immergono, come chirurghi del mistero umano della vita. Entrambi atei, entrambi ancorati alla bellezza fragile del corpo umano destinata a disintegrarsi. Il corpo è la totalità. Non vi è altro in questo mondo, tutto è espansione di esso. 

Il virtuale si presta in quest’ottica a indagare dettagliatamente l’effimero con i propri mezzi tecnologici e trovare metodi alternativi per alleviare il sentimento di sofferenza del lutto, come ad esempio avatar che diano l’impressione che i morti siano ancora presenti. Un’illusione del cui inganno si è coscienti, ma che addolcisce secondo Cronenberg la vita di tutti i giorni.

Come accennato, si percepisce più sentimento che in altre opere del regista canadese. Nessun sentimentalismo stucchevole certo, ma c’è del calore maggiore, nella dosata tipica freddezza del regista c’è una ventata di nostalgia e malinconia che scompone l’imperturbabilitá dei personaggi, li arrovella di desiderio sotto le mentite spoglie dell’algidità.

L’interpretazione di Vincent Cassel è posata e contenuta, intensa e caratterizzata da una calma che nasconde tormento e angoscia e raramente si interrompe. La sua imperturbabilità di fronte alla decomposizione del corpo umano, un approccio che lo avvicina addirittura alla morbosità per l’interesse forte che desta in lui la vulnerabilità della materia con i suoi processi biologici che Karsh in qualche modo trova rassicuranti, rende il protagonista stesso una figura inquietante per questo suo modo di porsi nei riguardi della morte. Tuttavia vi è anche nell’interpretazione di Cassel una dolcezza e delicatezza che porta a empatizzare con lui non solo per il lutto di cui è vittima, ma anche per la nobiltà e dignità con cui affronta questo dramma, nonché per la fragilità che si legge nei suoi occhi.

Diane Kruger ha un  triplo ruolo e incanta lo schermo col suo magnetismo e una seduttività enigmatica che mostra una nudità sensuale e vulnerabile, contenente il germe della morte e del decadimento. È infatti la moglie defunta, la sorella attraente e Hunny, un’intelligenza artificiale che Karsh adopera per sentire meno il vuoto del lutto. Ad arricchire positivamente il cast Guy Pearce e la sua apparente pacatezza e Sandrine Holt con il suo fascino potente.

Cronenberg inserisce i titoli di testa in una  una sigla, adoperando lo stratagemma stilistico tipico del piccolo schermo.

Il film ha un andamento lento ed ipnotico, turba e incanta, attrae e allontana, commuove e raggela. Il suo fascino, per quanto paradossale possa sembrare, si riscontra anche nel suo essere inconcludente e non risolto. Vengono tirate in ballo teorie cospirative, ecoterrorismo, fantapolitica, traffico di organi, ma ciò che realmente conta sono la mancanza, il bisogno di legarsi a qualcuno, la nostalgia di ciò che è stato e mai sarà nuovamente, il contingente e il suo valore. The Shrouds è un film potente, suggestivo e amaro. Una rinascita nell’orizzonte del sepolcro, un addio a un passato così tanto amato ma per cui è giunto il momento di disgregarsi. La vita come un sogno d’amore travolgente destinato a reiterarsi nel tempo in nuove e antiche sembianze. Un ibrido finale di corpi che sono miscela di memoria del passato, concretezza del presente e proiezione di un futuro che trova la propria unica risoluzione nella morte. La bellezza della vita nel soffio della fine.

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The Shrouds – Segreti sepolti – Regia e sceneggiatura di David Cronenberg – Con Vincent Cassel, Diane Kruger Guy Pearce, Sandrine Holt, Jennifer Dale, Elizabeth Saunders, Jeff Young, Eric Weinthal, Vieslaw Krystayan – Scenografia: Carol Spier – Musiche: Howard Shore – Costumi: Anne Dixon – Fotografia: Douglas Koch – Produzione: SBS Production, Prospero Pictures, Saint Laurent Production – Nei cinema dal 3 aprile 2025

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