Buio, buio profondo, dietro le sbarre scure di una finestra s’intravede il cielo d’un luogo remoto, unico punto di fuga per lo sguardo.
“C’è così tanto silenzio che mi sembra di sentire il tuo respiro”- s’accende un cerino, il suo scroscio interrompe il silenzio, fioca la sua luce illumina il volto di una donna.
E’ nello spazio impercettibile tra nostalgia ed angoscia che si articola “The match box” di Frank McGuinnes, in scena al Teatro Belli di Roma fino al 1 dicembre per la regia di Carlo Emilio Lerici.
Opera decisiva nell’ambito della diciottesima edizione di “Trend: nuove frontiere della scena contemporanea” (a cura di Rodolfo di Giammarco) è nell’alienazione, nella coltre asfissiante della solitudine che affonda le sue radici.
Una donna, il suo vuoto: spaesata, tremante, la sua voce apre un varco, formula nella sua intermittenza la traiettoria di un tormento ancora rovente: affrontata sul filo dell’incredulità la morte di una figlia diviene innesto per lo scaturire di un senso di vendetta che la inonda fino a scaraventarla fuori da se stessa.
Un cerino, nel tempo effimero della fiamma, dilata le narici, inspira l’odore acre fino ad aggrapparvici, a nella forsennata ricerca d’un conforto: è quel gesto a divenire nel corso dello spettacolo un leitmotiv costante, a farsi snodo per il dispiegarsi di una storia tanto taciuta quanto evidente.
“Mi è sempre piaciuto l’odore dello zolfo, è gradevole. Forte, pizzica il naso”- dalla pausa, dalla ripetizione, dalla balbuzie che attraversa il discorso la storia si dispiega, ribolle ardente nell’anima spezzata della sua protagonista.
Un monologo, ora schivo, ora struggente che nel susseguirsi di associazioni inedite, si articola sull’alternarsi fluido quanto vertiginoso tra fragilità e ferocia, tra lutto e senso di colpa e pone al centro un corpo, quello dell’attrice Francesca Bianco, vibrante e pacato come ordigno sul punto di esplodere.