Un’atmosfera tipicamente pinteriana pervade il racconto: una stanza, of course, tutto è grigio e claustrofobico, del mondo esterno chiuso fuori dalla stanza si intuisce la deriva irredimibile, che filtra nella stanza (incolore anch’essa, come l’accappatoio indossato dalla protagonista) dal vociare in sottofondo di una televisione che rimanda per tutto il tempo l’inconfondibile intervento di Greta all’ONU, oltre che dalla maschera antigas che il protagonista maschile indossa al suo rientro a casa. Il tempo di rimuoverla dal volto e comincia la schermaglia più complessa: quella di interessare alla vita –la sua- la coniuge, stretta nella sua evidente depressione, inerme davanti allo schermo televisivo. Ma mentre nella produzione pinteriana la stanza si propone spesso come laboratorio oppositivo o resistenziale rispetto alla realtà che si compie fuori (emblematico l’esempio di Party time), qui il convitato di pietra è il nichilismo dei protagonisti: niente riesce a smuovere lui e lei (la coppia è senza figli e il grigio che li circonda racconta tutto della loro latitanza da qualunque piacere) da una certa fissità che avvita entrambi alle rispettive idiosincrasie. Lui ai suoi riconoscimenti lavorativi (un non meglio precisato obiettivo di entrare in una sottocommissione si profila come una sorta di intermittente chimera) lei al tentativo di trovare qualcosa di vitale nella sua esistenza, fosse anche un improbabile piantina di mele che si sta facendo largo sotto il linoleum del loro squallido appartamento, dove niente è vitale.
Riuscirà quel tentativo di vita a vincere la scorza dura di quell’accanito nichilismo ?
Interpreti dei due personaggi sono Lorenzo Lavia(anche regista dell’allestimento) e Arianna Mattioli, coerente la recitazione con l’andamento asciutto della narrazione.