Dichiaratamente un’autobiografia anche se il titolo è volutamente fuorviante, The Fabelmans è di fatto il film di una vita, quella degli Spielberg.
Protagonista è un giovane scavezzacollo di nome Sam Fabelman (Gabriel LaBelle) – che ha per altro le fattezze somatiche del giovane Steven – membro di una classica famiglia media ebraica: molto unita, altrettanto credente, allargata ai pochi membri della comunità molto vicini a loro come lo “zio” Bennie (Seth Rogen), miglior amico e collega del padre, Burt Fabelman (Paul Dano). La vita del giovane Sam è costellata di cambiamenti a partire dai trasferimenti di città in città a seconda del lavoro del padre.
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Minimo comun denominatore è la sua viscerale passione per la cinepresa; Sam riprende tutto, dalle vacanze in tenda alle prime messe in scena con le sorelle e gli amici, che già evidenziano l’enorme talento nella gestione di un set.
Le vicissitudini familiari, su tutte la relazione extraconiugale della madre Mitzi (Michelle Williams) con lo zio Bennie – fatti realmente accaduti, di cui si avevano già avuto avvisaglie nella famiglia sfaldata in E.T. L’extra-terrestre (1982) – modificano inevitabilmente lo status quo delle cose nella vita di Sam, ed è su questa lunghezza d’onda che si sviluppa l’intreccio della seconda parte, in cui emerge la dimestichezza del grande regista nel trattamento di topoi delicati come l’antisemitismo, la solitudine, il bullismo e il tradimento.
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Si tratta di un film così intimista e prezioso per un regista che ha sempre scelto con grande successo i suoi protagonisti, non poteva che presentare un cast perfettamente in simbiosi con le reali personalità dei coniugi Spielberg.
A mio modesto parere – nonostante la figura dominante del racconto è certamente quella della madre, artista poliedrica con sindrome da Peter Pan, simbolo del dionisiaco e per questo più accentratrice d’interesse – mai fu scelta più azzeccata di Paul Dano nel ruolo del padre di Sam. Nel quadro mostrato da Spielberg, egli è l’opposto della moglie: un instancabile lavoratore dalla forma mentis scientifica, alla ricerca di un equilibrio pacifico familiare e lavorativo che gli permetta di vivere serenamente: per usare nuovamente le categorie nietzschiane, diremmo “apollineo”. Al contempo però è il primo fan delle attività della moglie, e ha una tenerezza drammatica già marcata nel volto di Paul Dano che lo rende perfetto per quel ruolo dell’arrendevole, serio, devoto, marito. Anche la scelta del maestro David Lynch come interprete di John Ford, mentore del giovane Sam e di conseguenza di Steven, dimostra il coraggio dietro le scelte e l’incredibile precisione di esse.
Ad aleggiare sulle vicende della famiglia c’è ovviamente la colonna sonora di uno dei più grandi autori del ‘900, e sicuramente il massimo esponente della categoria dei compositori di musica per il cinema, John Williams. Un sodalizio pluridecennale che ha contribuito non solo all’enorme successo di pellicole del calibro di Shindler’s List, Lo Squalo, E.T. l’extraterrestre, Indiana Jones, Jurassic Park e molti altri, ma anche alla creazione degli stessi, testimoniando il ruolo cardine della musica per la riuscita di un capolavoro.
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