TEATRO DAL VIVO / TEATRO IN VIDEO: UNA RIFLESSIONE

 di Marco Belocchi*

 

La parola teatro evoca un evento che si svolge dal vivo con una o più persone che agiscono in uno spazio circoscritto, e in qualche modo “sacro”, davanti a una o più persone che guardano ciò che accade e ne sono affascinati, sia dal punto di vista emotivo sia intellettuale. Questa forma si è protratta per circa duemila e cinquecento anni, alternando periodi di splendore ad altri in cui era quasi scomparsa, e vivendo crisi periodiche, trasformando alcuni elementi del suo linguaggio, sia nella parola, sia nelle componenti che ne arricchiscono i significati. Alcuni sono elementi tecnici come la luce elettrica che ha potuto incidere significativamente nel secolo scorso, oppure gli effetti sonori registrati; nell’ultimo scampolo del secolo anche l’intrusione di elementi visuali come foto e video. Ma sostanzialmente il medium è rimasto lo stesso e quindi la fruizione da parte del pubblico.

Una ventina d’anni fa, quando la crisi del cinema era ormai esplosa in tutta la sua gravità, con il diffondersi massiccio dei dvd, le televisioni via cavo che permettevano sempre più di fruire del prodotto filmico comodamente seduti in casa (per quanto le polemiche infuriassero sulla diversa percezione dell’immagine su uno schermo gigante piuttosto che su quello di uno schermo televisivo), e la conseguente trasformazione di sale storiche in multisale più piccole con annessi svariati confort commerciali, era chiaro che la crisi sarebbe stata irreversibile, anche se continuavano a rimanere ancora gli amanti della sala buia, sebbene in costante calo. A quel tempo ipotizzavo invece una ripresa e un perdurare dello spettacolo dal vivo, come unica forma di fruizione collettiva conservando ancora quell’aura di irripetibilità che Walter Benjamin indicava nel suo famoso saggio di quasi un secolo fa. Forse parlare di ripresa è essere sin troppo ottimisti, ma il teatro, tra le sue costanti crisi, ha cercato di mantenersi a galla, le sale non sono diminuite, anzi, specie nelle grandi città, sono forse anche aumentate, come è aumentata la domanda di accedere a corsi e laboratori di ogni tipo a cui ha risposto un’offerta variegata, anche se non sempre valida sul piano formativo e professionale. Ma questo è un altro discorso. Ora che la crisi pandemica ha accelerato, praticamente in tutti i campi, alcune dinamiche già in nuce della società tecnologizzata, compreso il teatro, portando in maniera rapidissima l’accento sul teatro in video, o in streaming, come si usa dire, la questione diventa complessa, oltre che per gli ovvi accessi agli spazi di visibilità, che dovrebbero essere consentiti in maniera democratica a tutti gli organismi che producono teatro, senza esclusioni, si pone in realtà un problema di linguaggio.

Come già detto in apertura, il teatro è un evento che si svolge dal vivo, se si svolge in altra maniera, sostanzialmente non è più teatro, è un’altra cosa che in qualche modo va ridefinita, sul piano teorico e pratico. Agli albori della televisione italiana, per chi se ne rammenta, la Rai introdusse coraggiosamente, nel suo palinsesto, la prosa, ovvero metteva in scena a tutti gli effetti un testo teatrale, recitato da attori, spesso anche di una certa fama, e diretto da registi teatrali, ricostruendo lo spazio scenico in studio e sperimentando un linguaggio che potesse coniugare le esigenze teatrali a quelle dell’allora neonata televisione. Veniva trasmesso normalmente il venerdì sera e credo avesse una larga audience, certo inferiore ai giochi a quiz o al varietà del sabato, ammettendo anche che non c’era molta scelta. Ma allora il pubblico, nonostante forse una più scarsa alfabetizzazione rispetto ad oggi, era più avvezzo al teatro e in qualche modo, tramite forse gli stessi attori che applaudiva nei luoghi deputati e forse anche per un repertorio riconoscibile, dimostrò di apprezzare il prodotto, almeno per due decenni. Ora è chiaro che quella forma di rappresentazione non sarebbe più praticabile, né del resto sarebbe però praticabile una semplice ripresa dello spettacolo dal vivo per riproporla tout court in video (come si è spesso fatto negli ultimi anni) con evidente depauperamento dell’artisticità, dello specifico teatrale, probabilmente proprio per la sottrazione di quell’aura che ne fa un evento unico e irripetibile, quando si verifica dal vivo. La ripresa video lo fissa, lo fossilizza in quell’unica replica che resta invece ripetibile all’infinito, con tutti i suoi pregi e difetti che quell’unica perfomance ha prodotto.

La differenza, è ovvio, consiste nel linguaggio. Il teatro ha un sistema segnico complesso in cui vari codici confluiscono in unico progetto semantico, generalmente perseguito dal regista, ma in cui l’apporto delle componenti significanti diventa essenziale: quindi la parola, scritta e parlata, la gestualità, le scene, le luci etc. creano il sistema spettacolo. Sistema in cui il fruitore, anzi ogni singolo fruitore, altra componente essenziale, ha un solo punto di vista: il suo. Se in un teatro composto da platea, galleria e/o vari ordini di palchi, lo spettatore potesse cambiare spesso posto, avrebbe vari punti di vista, in sostanza potrebbe vedere spettacoli diversi, o comunque diversi tanto quanto diverso è il suo punto di vista, specialmente se si sposta dalla platea, con una visuale dal basso in alto, a una galleria dove al contrario la visuale è dall’alto verso il basso. Senza contare che le reazioni che può avere un pubblico di una sera in una data città varia moltissimo rispetto a quello di un’altra sera in un’altra città, reazioni che non possono non interferire con la performance attoriale che per l’appunto varia a sua volta, adeguandosi al pubblico.

Ora questo nel cinema, naturalmente non accade. Il film è fissato su una pellicola e montato una volta per tutte e il punto di vista è uguale per tutti gli spettatori, ed è il punto di vista imposto da chi il film lo ha realizzato, ossia dal regista. Naturalmente ognuno avrà reazioni diverse, potrà ridere o piangere, ma la pellicola rimarrà invariata nel tempo. Lo spettatore, in una visione ripetuta a distanza di anni, certamente potrà anche avere reazioni diverse, ma non certo perché il film è cambiato, semmai può essere cambiata la sua ricezione o il contesto culturale in cui questa ricezione avviene. In teatro si può assistere a distanza di due mesi allo stesso spettacolo e constatare che lo spettacolo si è modificato, non nella sua sostanza, ma certamente nella recitazione e nel rapporto col pubblico. Fino a questo momento il teatro filmato si è avvalso di un sistema ibrido: rimaneva lo spazio scenico e quindi un punto di vista frontale, ma ci si poteva avvalere di un più o meno rudimentale montaggio in cui, a seconda dei punti macchina, potevano aversi due, tre, al massimo quattro visioni diverse dello stesso identico evento. Il sistema segnico quindi del cinema si è andato a sovrapporre a quello del teatro, talvolta annullandosi a vicenda, talvolta facendo prevalere l’uno sull’altro, ma senza riuscire ad avere una sua precisa specificità. Ora che le esigenze, o se vogliamo anche alcune scelte di politica culturale spingono in questa direzione, con cui a mio avviso si può soltanto affiancare l’evento dal vivo – che rimane, per le sue componenti umane ed emozionali, insostituibile – bisogna però ripensare su basi totalmente nuove questa possibilità di spettacolo che dovrà essere necessariamente diversa da quello che si intende comunemente per teatro, ovvero già inserire la parola teatro (video teatro, teatro filmato, teatro in streaming) è di fatto errato, perché lo specifico, di cui si è detto ripetutamente più sopra, non esiste: l’attore non si rivolge più ad una platea viva e quindi l’interazione, ovvero l’evento-teatro non si verifica.

A questo punto bisogna ripensare il linguaggio, e quindi l’apporto di significato che un qualsiasi punto di ripresa, la scelta dell’inquadratura, il ritmo del montaggio, ma anche l’illuminotecnica comporta, (un cambio-luci significativo in teatro, talvolta in una ripresa si avverte appena e di fatto riduce un sintagma fondamentale) senza per questo che diventi cinema, perché il cinema incide sul tempo e sullo spazio in maniera diversa. Questa nuova forma deve attenersi comunque ad un unico spazio, che è quello scenico, e al tempo determinato dall’azione e dalla parola e non dalle immagini.

Questa seppur non brevissima riflessione teorica, vuole aprire la strada ad ulteriori riflessioni e approfondimenti che chi pensa e fa teatro non può non porsi. La realizzazione di un video, ovvero questa sorta di teatro (urge assolutamente una nuova denominazione!) contaminato con altri linguaggi deve prevedere già al concepimento un nuovo approccio, non può partire da una messa in scena (nel senso letterale del termine, ovvero mettere sulla scena) e poi semplicemente adattarla al linguaggio visivo, deve necessariamente nascere contestualmente, di modo che il sistema segnico, i sintagmi, siano convergenti e interagenti e non semplicemente sovrapposti. E questo vale non solo al livello tecnico (luci, riprese, fonica), ma anche a livello recitativo, dove comunque la parola rimane il significante su cui lavorare, con le sue molteplici stratificazioni semantiche che, da Eschilo a Beckett appartengono a qualsiasi testo classico, cosa quindi che escluderebbe un approccio interpretativo di tipo televisivo, ma certamente neppure un approccio da teatro dal vivo.

*Attore e regista teatrale