Teatri Riflessi. Intervista al Direttore Dario D’Agata

Sabato scorso è andato in scena l’ultimo atto dell’ottava edizione di Teatri Riflessi, il Festival internazionale dei Corti Teatrali,  che ha abitato nella splendida cornice del Parco Comunale di Zafferana Etnea e che ha visto trionfare il perfomer giapponese Kenji Shinohe con il suo visionario K(-A-)O. Un’edizione che ha visto “scendere in campo” nell’Anfiteatro dell’accogliente cittadina alle pendici dell’Etna una nutrita presenza internazionale: dall’Ucraina al Portogallo e dal Canada all’Austria, Italia inclusa. A dirigere questa straordinaria “macchina da guerra”, Dario D’Agata insieme a Valerio Verzin, due facce della stessa medaglia che anche quest’anno ha premiato il grande lavoro organizzativo di tutto lo staff del Festival. Presente come giurato ho approfittato per fare qualche domanda al vulcanico direttore D’Agata.

Ph di Anna Boháčová

Il festival è un evento molto ricco e coinvolgente con workshop, laboratori e incontri a vari livelli che offrono un confronto proficuo tra artisti e le diverse giurie offrendo al pubblico la possibilità di esplorare nuovi territori artistici e nuove forme di espressione e narrazione. É questa la formula giusta per rinnovare un rapporto virtuoso con il pubblico dopo la crisi post covid?

Non sappiamo se sia la formula migliore, ma è certamente un format che produce inevitabili interazioni. È questa la direzione che abbiamo voluto dare all’ottava edizione del festival, cercando di plasmarla come contenitore che incoraggi l’incontro e permetta a chiunque — dal pubblico ai giurati — di sentirsi libero di scambiare pensieri e idee sulle arti performative.

I workshop di quest’anno sono stati un pretesto per rompere il ghiaccio, momenti di “riscaldamento” per promuovere l’interazione intergenerazionale e interculturale, disegnati per stimolare la prossimità con l’altro. Giovedì 13 luglio, abbiamo aperto con il workshop di Erin B. Mee, docente alla Tisch School of the Arts della New York University, che ha riflettuto sulle relazioni tra persone e luoghi e, soprattutto, tra persone e persone. Venerdì 14, è stata invece Beatrice Gigliuto, performer esperta di shibari, a condurre i partecipanti verso più consapevoli e libere forme di interazione sociale e relazionale. 

Nei tre pomeriggi, però, sono stati i Forum a sollecitare feedback e produrre la maggior parte delle riflessioni su quanto si è visto in scena. Gli incontri, sviluppati in forma ibrida tra la tavola rotonda e il sociodramma, hanno concentrato l’attenzione in modo crescente sull’industria dello spettacolo dal vivo, proprio a partire dai protagonisti che ne regolano le dinamiche: artisti, operatori culturali e spettatori. In particolare, gli operatori culturali, provenienti da tutt’Italia, hanno avuto modo di confrontarsi con diversi pubblici su tutti i livelli, ricevendo e donando suggestioni finalizzate all’ideazione di politiche culturali che rendano i territori la bussola viva della progettazione culturale. 

Promosso nelle modalità e circostanze più varie, anche attraverso le mini performance partecipative di Erin Mee a ridosso delle pause del concorso, l’incontro si ripromette di riverberare anche dopo gli spettacoli, attorno ai tavoli del bar del teatro “Falcone e Borsellino”, sui cuscini delle aree di Testi Riflessi o all’ombra degli alberi del Parco Comunale di Zafferana Etnea.

  E’ evidente che l’organizzazione di un festival di questo tipo richiede un grande impegno e una pianificazione puntuale per tradurre il tutto in un evento di qualità, sia dal punto di vista organizzativo che artistico. Qual è a vostro avviso la ricetta ideale affinché il pubblico e il privato si incontrino più spesso per realizzare progetti come Teatri Riflessi?

Nonostante gli effettivi tre giorni di eventi, l’organizzazione del festival inizia a novembre e occupa gran parte del tempo dello staff di IterCulture. Le sfide maggiori hanno a che fare con il garantire la sostenibilità della manifestazione che vuole rimanere completamente gratuita per non mettere alcun ostacolo alla libera fruizione. Inoltre, per rendere la cornice quanto più attrattiva nei confronti di chi normalmente a teatro non va, si cerca di offrire a contorno dell’evento principale — il concorso internazionale di corti teatrali e coreutici — forme diverse di intrattenimento che intercettino quante più fasce d’età e pubblici possibili. Va da sé che il festival necessita di uno sforzo concertato e di un dialogo aperto con le istituzioni pubbliche e le realtà del territorio. Fino alla scorsa edizione, infatti, la completa mancanza di finanziamento pubblico all’evento ha costretto il gruppo di volontari di IterCulture a sviluppare le più varie strategie di autofinanziamento e fundraising, dalla lotteria del festival agli stand dell’area espositiva e, ovviamente, le sponsorizzazioni.

Un evento come Teatri Riflessi è concretizzazione artistico-culturale, ma è anche, soprattutto, evento sociale di valorizzazione del territorio e della sua comunità perché disegnato per portare a Zafferana un assaggio della scena contemporanea internazionale così da incuriosire e avvicinare un nuovo pubblico al teatro e ai linguaggi contemporanei. La finalità principale è, infatti, la creazione di nuovi spettatori che acquistino, poi, biglietti e abbonamenti per altre stagioni teatrali, o che semplicemente, messi di fronte ai linguaggi contemporanei, abbiano una più consapevole possibilità di scelta nei confronti dell’industria culturale. Quest’anno, il finanziamento regionale al festival ha confermato che l’intento non solo è stato compreso ma anche supportato; ciò ha permesso di accrescere le ricadute sul territorio a partire dall’ospitalità di oltre 100 tra giurati nazionali, artisti e volontari internazionali che con il pretesto di soggiornare e vivere Zafferana Etnea hanno contribuito a fare della cittadina etnea quello si spera diventi un appuntamento annuale di settore, oltre che a una così piacevole cornice turistica.

Purtroppo, il sostegno del privato è sporadico e si riduce a un esiguo numero di aziende perché il settore sembra non avere un mercato di interesse ed è difficile cogliere il nesso tra fruizione teatrale e ricadute economiche. 

Per quanto riguarda la macchina organizzativa, una delle principali attività durante tutto l’anno è la formazione di giovani studenti universitari attraverso percorsi di tirocinio curricolare che possano acquisire conoscenze e competenze sul settore dello spettacolo dal vivo con l’obiettivo di costruire non solo figure professionali per la nostra associazione e il festival, ma anche di una nuova generazione di operatori culturali del territorio, che sul territorio operino. 

  130 domande di partecipazione di cui ben il 40 % proveniente dall’estero a fronte di 13 corti selezionati rispetto ai 10 previsti inizialmente. Indubbiamente un grande lavoro di screening. Quali sono stati i criteri che avete adottato per la selezione finale dei corti finalisti.

La selezione è stata molto impegnativa e dalla prima edizione la complessità, legata in primis al numero di candidature, è certamente accresciuta. Scegliere da un bacino di istanze ha chiaramente dei limiti in termini di programmazione artistica: non solo la qualità artistica è relativa a quella delle domande pervenute e quindi imprevedibile, di anno in anno, ma la volontà di diversificazione delle proposte artistiche — pur nel rispetto di una qualità che, per quanto soggettiva, cerchi di essere quanto più assoluta — spingono a considerazioni che restituiscano, nei limiti del possibile, una rappresentatività delle candidature e, quindi, dei fermenti della scena internazionale. 

Quest’anno, anche la percentuale di danza e teatro portata in scena è variata rispetto a quella di edizioni passate, riflettendo il livello qualitativo riscontrato. Va anche puntualizzato che il genere drammaturgico del corto, al centro del concorso, rappresenta un genere sui generis con una grammatica diversa rispetto a quella di altri lavori più lunghi. Nel bando, infatti, si chiede ai lavori di essere concepiti proprio come corti, senza cercare una compiutezza nonostante la brevità, ma costruita proprio per sfruttarne la potenzialità. 

La commissione artistica valutatrice composta dalla direzione artistica e da altri soci di IterCulture ha valutato le proposte sugli stessi parametri con cui si chiede alle commissioni tecniche di individuare i finalisti (empatia, drammaturgia, regia, interpretazione e allestimento). La scelta, inoltre, tiene anche conto di un certo rischio dovuto al fatto che molti corti sono scritti appositamente per Teatri Riflessi e debuttano proprio durante le serate del concorso. 

 Il tema scelto quest’anno è l’alterità. Alterità come concetto che fa riferimento alla diversità e differenza rispetto a noi stessi a colui che è differente da noi. Aprendoci all’alterità possiamo superare le barriere tra persone e tra culture diverse e costruire ponti di connessione.  Il teatro e l’arte in generale possono dare il loro contributo.

Questo è proprio uno dei motivi che ci ha spinto a riflettere sull’argomento. In questa fase storica, ci siamo resi conto che è necessario fermarsi e riflettere e investire sulle relazioni personali andando oltre tutti gli ostacoli della nostra società che ci portano sempre di più verso un individualismo tossico. 

Il teatro permette l’immedesimazione, porta in sé, per sua natura, la capacità di aprire orizzonti e offrire nuove prospettive. Guardare con gli occhi degli altri, in un mondo sempre più globalizzato, è l’unica strada percorribile per tentare di superare, senza annullare, le differenze, lenire le sofferenze sociali con la pratica dell’empatia, esercitando e perseguendo una sincera inclusione. Il rovesciamento delle prospettive, indossando il punto di vista degli altri, ci può far scoprire che le esigenze della vita sono comuni e sempre le stesse, in ogni tempo e per ogni essere vivente. 

 Attenzione alla nuova drammaturgia, ma anche all’incontro tra diverse forme d’arte, nell’ottica di un coinvolgimento del pubblico. Possiamo dire, anche dell’interdisciplinarietà che oggi sta connotando sempre più l’offerta e la produzione teatrale?

L’interdisciplinarietà è ormai parte integrante della contemporaneità. Il post-drammatico registra una crescente integrazione di diverse modalità espressive anche all’interno della stessa opera che intercetta forme diverse di fruizione da parte di un pubblico sempre più eterogeneo. In parte, questo sembra essere dovuto ad un impoverimento della parola e della sua capacità di utilizzo come base del testo performativo, ma è anche il risultato della riscoperta di una nuova semiotica del gesto, del corpo e della luce. A volte il bilancio è più positivo di altre, quello che abbiamo cercato di fare è mostrare come il contemporaneo cerchi da un lato di intercettare le nuove tendenze e come si muova, dall’altro, all’interno di strutture tradizionali, cercando di riscriverle oppure restandone prigioniero.

Quello che ci rende molto contenti è la risposta della comunità di Zafferana Etnea, il confronto sviluppato nelle giornate, l’interazione con i volontari locali e internazionali e come tutto questo abbia contribuito a creare un senso di comunità allargata, riunita a discutere attorno al teatro e alla danza.

Locandina ottava edizione

Il festival ha accresciuto le ricadute sul territorio e ha raggiunto tutti i risultati previsti anche perché con esso sono cresciuti i giovanissimi membri dello staff che abbiamo formato in questi anni; con la loro crescita professionale e personale, Teatri Riflessi si è nutrito di nuovi stimoli, nuovi spunti di riflessione e nuove occasioni per intercettare pubblici sempre più diversificati. Tutto questo ci ha anche permesso di dedicarci con maggiore cura alle varie aree del festival e al concorso, potendo offrire a tutta la comunità presente (famiglie, artisti, operatori culturali, giornalisti, critici, studenti) numerosi stimoli e momenti di aggregazione per riflettere sull’arte, le politiche culturali, i territori e le comunità. Perché l’arte non è divisiva, non può essere elitaria, ma è un’espressione antropica inclusiva e aggregante. 

Ph di copertina di Dino Stornello

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Davide Tovani

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