Dal 1 all’11 dicembre torna in scena, dopo aver deliziato il pubblico napoletano della scorsa stagione torna al Teatro San Ferdinando Tavola tavola, chiodo chiodo… lo spettacolo di e con Lino Musella, uno dei più grandi e poliedrici autori teatrali, un grande talento attoriale che si è distinto tanto in scena quanto al cinema; insomma già solo Lino Musella vale il prezzo del biglietto. Se poi lo spettacolo è una dolce, profonda, divertente e anche drammatica rappresentazione di alcuni momenti chiave della vita di Eduardo De Filippo ecco che allora tutto diventa perfetto.
La cornice è quella dello storico Teatro San Ferdinando che Eduardo fece ricostruire e che diresse e il teatro inteso come una casa, il posto dove si lavora sodo e si creano storie, la culla di un’intera vita è il punto di partenza, ma è anche quello di arrivo della vita di Eduardo e soprattutto la parentesi del San Ferdinando è forse una delle pagine più toccanti della sua vita.
Una vita sapientemente messa in scena e tenuta in piedi da un solo attore, con un solo altro personaggio, muto, che lo accompagna con una chitarra.
A dare lo spunto a Lino Musella per Tavola tavola, chiodo chiodo… fu la pandemia, il primo periodo di lockdown che per molti fu un momento di raccoglimento, riflessione, crisi, tanto dolore ma anche tanta speranza.
“In questo tempo mi è capitato di rifugiarmi nelle parole dei grandi: poeti, scrittori, drammaturghi, filosofi, per cercare conforto, ispirazione o addirittura per trovare, in quelle stesse parole scritte in passato, risposte a un presente che oggi possiamo definire senza dubbio più presente che mai; è nato così in me il desiderio di riscoprire l’Eduardo capocomico e mano mano ne è venuto fuori un ritratto d’artista non solo legato al talento e alla bellezza delle sue opere, ma piuttosto alle sue battaglie donchisciottesche condotte instancabilmente tra poche vittorie e molti fallimenti”.
Ma perché Tavola tavola, chiodo chiodo? Ebbene queste sono le parole incise su una lapide del palcoscenico del San Ferdinando, che Eduardo fece erigere a Peppino Mercurio, il suo macchinista per una vita, che tavola dopo tavola, appunto, era stato il costruttore di quello stesso palcoscenico, distrutto dai bombardamenti nel ‘43.
Gli estratti dei carteggi, degli scritti e delle stesse parole di Eduardo diventano così uno spunto per parlare proprio del concetto di costruzione e in particolar modo di costruzione sulle macerie.
Il San Ferdinando è un perfetto esempio di Fenice che risorge dalle proprie ceneri e il lavoro dell’attore così come quello dell’autore sono lavori di continua costruzione e decostruzione.
Una delle cose che maggiormente ci impressiona delle parole di Eduardo interpretate qui da Musella è che lui in una sua lettera scriveva delle condizioni in cui si trovava il teatro, abbandonato a se stesso e senza i mezzi per poter sopravvivere, con autori che non venivano sostenuti a sufficienza e con cartelloni imbastiti per restare sul sicuro. Il problema scriveva lui era la mancanza dei fondi necessari che per qualche ragione dettata ovviamente dall’interesse, non venivano erogati a sufficienza.
Il quadro descritto da Eduardo in quella lettera, alcuni decenni fa, praticamente non è cambiato nel corso degli anni e, anzi, probabilmente è peggiorato. Ancora oggi gli autori non vengono sostenuti perché non bastano i fondi e in ogni caso si investono per andare sul sicuro.
In scena Musella si serve di tutti gli elementi a disposizione, costruisce e distrugge continuamente, la scena è divisa in quattro ambienti: lo scrittoio di Eduardo, un camerino, il modello del teatro in costruzione al centro della scena e un balcone, quest’ultimo costruito sul momento con delle sbarre di ferro. Ciascuno di questi ambienti rappresenta momenti diversi della vita di Eduardo ma anche diversi frammenti di storie collaterali a Eduardo stesso.
Alla fine di questo viaggio nel tempo ci si ritrova riflettere da quale parte si vuol stare, se dalla parte di quelli che campano sulle macerie senza fare nulla o se dalla parte di coloro che su quelle macerie ci vogliono costruire, tavola dopo tavola, chiodo dopo chiodo.