Su «TeleDelfi», la verità secondo Pizia

Non sempre c’è un motivo razionale per mettere in scena un testo teatrale; a volte è sufficiente soltanto un innamoramento alla prima lettura e il progetto s’avvia, passo dopo passo, dalla semplice emozione iniziale fino all’apertura del sipario. Ma per portare sul palcoscenico i personaggi di un racconto scritto in prosa, in lingua tedesca, occorre una caparbietà sollecitata da una ferrea motivazione intellettuale, oltre che emotiva. Notato, quindi, in locandina, che il nome di Patrizia La Fonte si legge sia tra gli interpreti che tra le autrici dell’adattamento, allora ne consegue che il motore di quest’avventura mitologica dovrebbe essere lei. E qual è il motivo che l’ha spinta ad immergersi nel ruolo di una sacerdotessa del mito antico riproposta da Friedrich Dürenmatt? Pur sapendo di poter fallire l’identificazione della ragione degli intenti, proviamo ugualmente a indovinare: forti, comunque, della sensazione chiara e netta ricevuta in platea, durante la rappresentazione della Morte di Pizia, allestita da Giuseppe Marini tra le rovine di un «tempio dorico».

Tutti noi, durante il periodo di clausura abbiamo sentito la necessità di mantenerci aggiornati sulla cronaca di una vita non vissuta (pardon, il Cechov visto iersera continua a condizionarmi!); un’esperienza che ci ha costretto a subire le notizie o dalla televisione o tramite gli aggiornamenti su internet. E più aumentava il numero dei giorni che passavamo chiusi in casa, più cresceva la necessità di aggrapparci a una verità che ci facesse comprendere quel che stava succedendo intorno a noi senza che ce ne potessimo rendere conto direttamente. Credo che mai come in quel periodo abbiamo potuto constatare quanto la verità degli «oracoli televisivi» fosse varia ed effimera, quanto i vaticini degli esperti fossero privi di qualunque sostegno realistico. Eravamo tutti vittime disperate dei loro responsi: poi si cambiava canale ed eravamo vittime di altre profezie, magari opposte alle precedenti. Non potevamo berci proprio tutto (c’è sempre un limite!), ma a qualcosa abbiamo creduto perché «la gente crede sempre a quel che vuol credere». In questo modo abbiamo vissuto per circa due anni, tra una miriade di false verità e autentiche falsità. Il mito di Edipo (non il complesso, per carità!) ne è la riprova.

Patrizia La Fonte

Dürenmatt, prende a pretesto la tragedia di Sofocle e la passa in rassegna per esporre le sue perplessità sulla veridicità delle sentenze degli dèi che parlavano tramite gli oracoli, mettendo a confronto il vecchio Tiresia (un convincente Maurizio Palladino), saggio prescelto a profetizzare, con Pizia, la sacerdotessa che recitava i responsi dell’oracolo di Delfi, dedicato ad Apollo. Si trattava, insomma, né più né meno che di un grottesco passaparola, proprio come quelle notizie che ci venivano dispensate durante la pandemia: Apollo diceva a Tiresia, Tiresia ripeteva a Pizia e Pizia traduceva la notizia alla vittima designata. Ed ecco che così nascono confusioni, malintesi, accomodamenti, tanto che la verità iniziale diventa un’altra cosa. Tiresia e Pizia sentono ormai la morte assai vicino e trovano il coraggio di parlarsi con franchezza, confessandosi l’un l’atra che la scandalosa storia di Edipo, colui che avrebbe generato quattro figli con sua madre Giocasta (una felice apparizione di Patrizia la Fonte in abiti anni Cinquanta che ricordano Grace Kelly), è talmente confusa, quella storia, che «per decreto degli dèi» la verità non deve venir fuori. Sulla paternità ci sono pochi dubbi: per i più è figlio di Laio che poi ha ucciso. Ma sulla madre le voci sono molto contrastanti e ogni possibilità genera una versione dei fatti con altrettante varianti. Motivo per cui tutto quel che loro hanno profetizzato non è detto che sia l’assoluta verità, malgrado la fonte divina dovrebbe essere inconfutabile. Invece, l’unica verità che corrisponde e mette d’accordo scrittori e poeti dell’epoca è che a Tebe ci fosse la peste, quindi la disperazione di massa, quindi la necessità di aggrapparsi a qualunque verità a cui credere. E l’oracolo di «TeleDelfi» probabilmente sapeva far di meglio dei nostri canali satellitari. Parola di Pizia!

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La morte della Pizia, di Friedrich Dürenmatt, traduzione di Renata Colorni, adattamento teatrale di Patrizia La Fonte e Irene Lösch; con Patrizia La Fonte (Pannychis XI, detta La Pizia, Giocasta, La Sfinge), e Maurizio Palladino (Merops XXVII, Tiresia, Edipo). Scena, Alessandro Chiti. Costumi, Helga H. Williams. Regia, Giuseppe Marini. Al teatro Belli fino al 14 maggio

Foto in evidenza: Maurizio Palladino e Patrizia La Fonte(© ph Pino Le Pera)