Riversi, scuri, appesi a testa in giù, ciondolano i corpi morti di Egisto e Clitemnestra, corpi uccisi dalla loro stessa prole e solo ora destinati ad una degna sepoltura; è da quest’immagine che si articola “Studio su Pilade” dell’allievo regista Marco Corsucci, in scena al Teatro Eleonora Duse di Roma fino al 1 Marzo.
Se dal termine d’una tragedia,- l’Orestea – Pier Paolo Pasolini aveva tratto il suo inizio, scrivendo un “Pilade” che non solo fosse traslato in Italia, nello spazio/tempo del secondo dopoguerra, ma assurgesse tale figura marginale a centro drammaturgico; è su questo capitolo contemporaneo che questo nuovo lavoro intende impiantarsi.
Un gruppo di figure invade lo spazio, cittadini di Argo si interrogano sugli orfani, su Elettra, donna sola nel palazzo del re ucciso, su Oreste suo fratello del quale si aspettava l’imminente ritorno.
Lo si vede arrivare, stretto in un paltò; il passo sicuro, la luce negli occhi come segno visibile di una rivelazione: preannuncia l’avvento di una nuova dea, che trasfigurando le Furie in Eumenidi, si afferma come luce che invita a combattere, a creare nuove istituzioni oscurando il ricordo del passato.
Uno scontro dialettico infiamma gli animi di due fratelli non più fratelli, l’una ostinata nel conservatorismo di istituzioni passate, l’altro sbandieratore di una nuova forma democratica che, già promulgata nella trilogia eschilea, si identifica in Pasolini nelle istituzioni politiche del periodo coevo.
Eppure lo scontro, originariamente declinato come binomio tragico, si apre nella visione pasoliniana ad un fino ad allora dimenticato personaggio: laddove i cittadini di Argo, sul ritmo festoso di una danza, festeggiano la scomparsa delle Erinni perseguitatrici, un cittadino di campagna accorre annunciando una spaventevole moria di vacche.
E’ proprio allora che, nello snodo drammaturgico di una profezia che non torna, l’innocua natura di Pilade avverte un brutale ribaltamento, quand’egli, ribellatosi all’amico fraterno, si afferma come matrice di scandalo apportando uno sguardo diverso dettato dall’abietto, intransigente desiderio di capire, di negare.
Se la figura di Pilade, identificato in quella di Pasolini stesso, si propone come servo della realtà, sospinto dall’esigenza di cercare l’origine di verità dimenticate; Oreste perseguitato dal ritorno delle Furie, aventi nella riscrittura le sembianze di folletti danzanti, piange in preda ad un delirio manifestatosi in un suono stridulo e incessante.
Sebbene nell’interpretazione di Corsucci appaia difficile al momento dello scontro tra gli eserciti situare i personaggi (poiché interpretati dagli stessi attori nell’una e nell’altra fazione); riesce però l’intento di restituire a Pilade quella pregnanza semantica che lo pone, secondo il progetto pasoliniano, sullo stesso piano dei due fratelli, andando a comporre cosi una triade di forze contrarie.
E’ nel dialogo finale con Atena, che il protagonista rivendicando il suo amore per Elettra userà la non ragione contro la ragione, restituendo l’evidenza visibile una crepa tanto nel contesto di euforia del boom economico quanto nelle prospettive riformatrici di inediti governi di centro-sinistra: la sua voce come rivolta romperà il silenzio senza però riuscire a contrastare l’avvento di una più grande rivoluzione, quella dei consumi.
A farsi interpreti di questa riscrittura epico-lirica Barbara Venturato, Michele Ragno e Paolo Marconi insieme agli allievi del secondo anno dell’Accademia nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico: Alessandra Arcangeli, Maria Chiara Arrighini, Giuseppe Benvegna, Matilde Bernardi, Francesco Brullo, Annabella Buonomo, Flavio D’Antoni, Valentina Martone, Edoardo Sani e Francesca Somma.