Un Riccardo III marionette di sé stesso
di Marco Buzzi Maresca
Il Riccardo III – andato in scena al Citylab 971 (Roma, ottobre-dicembre 2023) una ex cartiera splendidamente riattata a spazio polifunzionale – si impone prima di tutto come una splendida macchina scenica. Tutti lo rimarcano. Marcantonio Lucidi parla di ‘una trappola per il personaggio’, che ne sarebbe come divorato, a discapito di una possibilità di evoluzione.
La scena (opera di Alessandra Solimene) consiste di uno spazio cubico, che poi si sfarina in un pirotecnico movimento di quinte mobili, che si aprono a strati, convergono, divergono, aprendo ora corridoi a prospettiva centrale, ora segmentando zone diverse e corridoi nascosti. La scena insomma si 5fa partitura che ritma grado e tempo delle comparse in scena, come uno spartito d’anima. Il tutto aumentato da un icastico simbolismo coloristico. Domina il bianco accecante delle pareti, ma sulle porte che su esse si aprono, o in un fondo scena aperto, si proiettano accesi, saturi, tenui colori pastellati: verde, rosa, azzurro, arancione. A dipingere stati d’animo, a caratterizzare il tono della sezione d’azione coinvolta.
Bianca la scena (abbacinante). Bianco vestito Riccardo III (uno splendido Pietro Faiella), giacca e pantaloni. Gli altri con costumi dal taglio icastico, talora con sfumature di grigio o di nero.
Tutti comparse del delirio di Riccardo III. Questa mi pare la cifra. Che lo aggrediscano e maledicano, che si illudano di collaborare al suo gioco di potere – sono tutte ombre convocate al suo progressivo inabissarsi. Compaiono da porte laterali, o polemizzano si lamentano complottano a fondo scena. Ma sempre sono ombre statiche, chiamate dal regista a disegnare quasi gruppi scultorei grecizzanti, in stop motion (fatto che spesso ne irrigidisce la recitazione), mentre Riccardo dilaga. Ora si scatena, tra voce e gestualità, avvicinandosi, roteando attorno alle prede, scagliandosi, contorcendosi; ora si pone di lato, immobile, àtono, come a segnare una distanza dal sentimento e da ciò che manipola, ma anche come un origliatore, un voyeur, curioso come un bambino, avido, attento come un gatto che covi l’assalto.
E’ come se la scena a piena luce, senza mai possibilità d’ombra, fosse una crocefissione della coscienza, un’impossibilità di nascondersi, una geometria persecutoria della sua mente. Come quando ci si sogna bambini nudi offerti allo sguardo di tutti senza protezione. Gli altri una teoria di ombre che sfilano per lui, attanti del suo delirio di rivalsa. Un po’ come i deliri di Macbeth, ma senz’ombra. Quel Macbeth di cui Riccardo III è una gigantesca anticipazione, quasi grottesca. Ne ammazza più di Macbeth, e non ha dubbi nel suo cammino al potere. Non gli serve una lady che lo spinga al male.
E’ un bambino sadico che si vendica del proprio destino storpio. E solo in ciò l’incrinatura, subito rimossa. Vorrebbe essere amato ? Potrà veramente cancellare la propria inferiorità ? Questo emerge un attimo quando seduce Anna, a cui ha ucciso il marito. E’ perverso, ma anche davvero dentro l’ipotesi di amarla ed esserne amato. E questo Faiella lo sa rendere con foga.
E’ commovente e fragile, così come lo è quando, ormai re, balza giù in platea, e appoggia la testa sulla corona su un tavolo, come si appoggia la testa bambina sul ventre materno, o adulti sul ventre dell’amata, a farsi accogliere con tenerezza.
Sì. Faiella è bravo a graduare tutte le contorsioni di questo polimorfo e perverso bambino malcresciuto, aspirante dittatore sadico in un’epoca di sangue (la guerra delle due rose). E’ marionettistico e grottesco nella maschera di gioia dell’avvento al potere, strisciante ed obliquo nella falsa umiltà, quando si finge indegno della corona offerta, gelido quando deve ordinare l’eliminazione di nemici o di sospettati traditori.
Ma soprattutto fragile e comicamente patetico quando il cerchio si stringe, e gli eserciti marciano contro di lui, abbandonato da tutti. Ora si è tolto la giacca. Sta a torso nudo, e spesso a terra, carponi. Ma soprattutto, progressivamente sempre più, con la mano destra tiene il proprio braccio sinistro teso, per bloccare un tremito incontrollato della mano. Il suo corpo diventa la maschera dell’angoscia, della paura.
Tutti coloro che ha fatto morire ora sfilano uno a uno davanti a lui, e gli predicono la morte in battaglia “Non c’è nessuno che mi ami ? .. Ho paura?”
La morte in battaglia si avvicina, e lui, carponi e in ginocchio, urla e piange, tra testimoni muti, mentre ironicamente, ad alleggerire in farsa la sua disperazione antieroica (in ciò agli antipodi dello statuario ‘Out brief candle’ di Macbeth) si sfarina in leggerezza ‘My way’, di Frank Sinatra ‘And now the end is here / And so I face that final curtain’.
Già. La farsa.
Una tragedia curiosamente anti tragica questa del primo Shakespeare, che anticipa l’Ubu roi di Jarry. E questo è uno dei pregi di questa regia.
La ambivalenza e lo straniamento onirico. L’ambivalenza tra tragico e comico, e lo straniamento del teatro della luce. Ambivalenza sì, perché mentre il testo di Sinatra alleggerisce ed ironizza, la geometria delle quinte si rivela una implacabile macchina di morte. Le paratie pian piano si chiudono, a strati restringendo la scena, in due tempi. Prima restano in scena solo lui e due testimoni muti. Poi solo lui, che con le braccia tenta di separare le paratie ormai frontali, orizzontali, che gli si stanno serrando a ghigliottina.
Poi lentamente cede. Ora solo la testa emerge. Poi niente. E verrebbe da dire, con Dante, ‘infin che il mar fu sovra noi richiuso’. E non è solo la dissolvenza della morte, la sconfitta del potere, la nemesi e la condanna. No, è pure la delirante tragedia del narcisismo, della ferita narcisistica, che innerva il potere. La scena lo cancella. La scena si cancella. Non c’è nessuna scena. Solo un crudele schermo bianco. Il gelo.
Dicevamo.
Giganteggiano Riccardo III, e la scenografia, che né è la protesi e la condanna. Gli altri attori, stretti nelle rigide maglie, fanno quello che possono, con professionalità. Qualcuno un po’ accademico nei toni. Altri che a tratti riescono a sforare in intensità, nonostante le pose rigide. In particolare Liliana Massari, madre maledicente di Riccardo, e Romina Delmonte, fiammeggiante di rabbia. Abile e duttile anche Roberto Baldassarri nei panni multipli di Hasting, Clarence e del Sindaco.
Si potrebbe dire, sotto vesti sceniche wilsoniane, uno sfolgorante neobarocco, dove il gruppo fa da basso continuo alle stratosferiche ed esagitate impennate della melodia.
‘Riccardo III’, di W. Shakespeare, Regia di Luca Ariano – Progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella – Personaggi e interpreti: Riccardo III – Pietro Faiella // Clarence/Hastings/Sindaco – Roberto Baldassarri – Elisabetta – Gilda Deianira Ciao // Margherita/Cittadina III – Romina Delmonte – Catesby/Sicario I/Cittadino I – Luca Di Capua // Anna/Cittadina II – Lucia Fiocco – Rivers/Stanley – Mirko Lorusso // Duchessa di York (madre di Riccardo) – Liliana Massari Buckingham/Sicario II – Alessandro Moser – Progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella – Adattamento e aiuto regia Natalia Magni – Assistente alla regia Tessa Perrone – Scenografia Alessandra Solimene – Costumi Elisa Leclè – Luci Max Comincini – Responsabile di Produzione Romina Delmonte – Produzione Officina Teatrale di Massimo Venturiello – Citylab 971 ottobre 2023
Foto di copertina: Pietro Faiella