Che spesso ci sia ingratitudine nei confronti di chi, con la propria arte, abbia eretto la storia culturale del nostro Paese, è ormai cosa risaputa. Sembrerebbe, difatti, che lo stesso destino sia ricaduto sullo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, il cui centenario dalla nascita – due anni or sono – è passato inosservato ai più. Così, in una vera e propria operazione di rivendicazione, il regista Giovanni Anfuso porta alla ribalta l’ultimo componimento dello scrittore siciliano; quella che potremmo definire la sua opera testamentaria. Forse, questo, un modo per “rendere giustizia” ai grandi dimenticati come lui.
Giustizia… Ma quale giustizia? Che cos’è la giustizia? GIUSTIZIA, la più grande contraddizione dell’intera umanità; la più grande delusione per Sciascia. Così, tra incalzante pessimismo ed illuministico razionalismo, l’autore fotografa nitidamente quello che sembrerebbe un vero e proprio parodistico senso della giustizia. La fotografia di una “storia (apparentemente) semplice”.
Un commissariato. Telefoni che squillano. Un telegrafico narrare, tipico linguaggio da verbale di polizia. Un caso. Ecco, esserci tutti gli elementi atti a confermare che quello a cui stiamo per assistere sia un vero e proprio racconto poliziesco. Eppure non sarà propriamente così: di certo l’intero allestimento ha tutte le carte in regola per essere un giallo fatto su misura sia per drammaturgia (testuale e sonora) che per scenografia (imponente nelle sue fattezze e accuratamente dettagliata); ma questo ne è solamente l’aspetto più “superficiale”. Difatti, tra un’indagine e l’altra – laddove un caso inizialmente “semplice” sembra infittirsi sempre di più – ad emergere è un’incalzante riflessione filosofica e politica (tipica sciasciana) intorno il senso di giustizia, a cui naturalmente segue l’analisi di un’umanità sterile; contraddittoria; disumanizzata.
Un tono acutamente indagatorio, evidenziato da un costante dialogare alla terza persona come a voler scindere l’io parlante da quello agente, si rivela così un espediente drammaturgico efficace e di forte impatto analitico rivelando, pertanto, l’essenza del racconto sciasciano; un racconto di per sé “problematico”. Immancabile, oltretutto, quella nota tipicamente umoristica: un elemento indispensabile al disvelamento di una realtà sempre più offuscata ed offuscante.
Da non dimenticare, poi, le “parodistiche” circostanzialità dell’accadimento: la festività di San Giuseppe. Una ricorrenza, per l’appunto, apparentemente religiosa; ma che di sentitamente religioso ha ben poco. Un’occasione – come dichiarava lo stesso Sciascia – per uscire dalla propria condizione di uomo solo e condividere un radicato materialismo ed una sempre maggiore refrattarietà a tutto ciò che di metafisico possa esistere, a partire proprio da una discutibile sensibilità valoriale intrinseca l’uomo.
Pertanto, intorno quello che sarebbe potuto risolversi un caso semplice, una serie di contraddittori accadimenti – evidenziati da un iniziale disparità di vedute tra le istituzioni della polizia e dell’arma dei carabinieri; per concludersi poi in una palese a-giustizialità – riveleranno quello che l’autore stesso aveva identificato come il male del nostro Paese; quello che spesso ancora oggi sembra essere un cancro inestirpabile: un discutibile, quanto spesso assente, senso della giustizia. La presa di coscienza di una realtà che è tutto fuorché “una storia semplice”.
Una storia semplice
Di Leonardo Sciascia
Regia e adattamento Giovanni Anfuso
Aiuto regia Matteo Munari
Scene Alessandro Chiti
Costumi Isabella Rizza
Musiche Paolo Daniele
Luci Pietro Sperduti
Con Giuseppe Pambieri, Paolo Giovannucci e Stefano Messina
E con Davide Sbrogiò, Liliana Randi, Carlo Lizzani, Geppi Di Stasio, Marcello Montalto, Luigi Nicotra, Giovanni Carpani
Teatro Vittoria – dal 21 al 26 marzo