L’estate è tempo di riposo, di distacco, di novità e ripresa. Una parentesi dove può essere data la possibilità di vivere ciò che in altri periodi dell’anno risulta più difficile, desiderato e insieme atteso. Tra le mete forse meno scontate ma sicuramente più interessanti e suggestive, Pescara offre un connubio particolare tra mare e storia, semplicità, tradizione, con una parte cittadina più grande, ampia, nuova e spazi più piccoli, passati, ricchi di umanità vissuta, fermati dal tempo.
Questo connubio lo si riscopre nelle iniziative e nei luoghi culturali della città: la casa natale di Gabriele D’Annunzio, il Museo dell’Ottocento, il Museo delle genti d’Abruzzo, il Museo civico Basilio Cascella ben si accompagnano alle proposte più innovative e “recenti” come il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Imago, aperto da un anno, e il Museo d’arte moderna “Vittoria Colonna”. È proprio qui che è stata allestita, grazie a Fondazione ARIA, ai Comuni di Pescara e Atri, una parte della mostra “Stills of Peace and Everyday Life. Italia e Armenia: una ricerca del senso del contemporaneo”, giunta alla IX edizione. Scrivo a parte perché l’esposizione trova casa anche ad Atri (Te), suddividendosi in modo speculare e preciso con sedici artisti ospiti, cinque curatori, tre sedi e sette mostre contemporanee. Una narrazione vera e vivente di questa nazione e del suo popolo.
All’interno del Museo d’arte moderna si rivive un momento particolare: foto di volti, di scorci e paesaggi, di gesti, istantanee di vita di una terra sofferente e ferita, di persone diverse, lontane, catturate da chi ha saputo intravedere e interpretare il significato profondo della loro esperienza, quella sfumatura dell’esistenza che tanto può dire e trasmettere.
Due sono le sezioni principali: “Qui è come Altrove” con gli scatti di Nazik Armenakyan, Ani Gevorgyan, Zaven Khachikyan, Aram Kirakosyan; e “Armenia, un giorno qualunque”, a cura di Paolo Dell’Elce, che raccoglie le fotografie di Giovanni Iovacchini.
Il percorso ospita anche le opere di Juan Del Prete, uno degli esponenti dell’arte latinoamericana del Novecento e precursore dell’arte astratta in Argentina. Opere e pittura che vogliono intenzionalmente far riflettere.
Questa esposizione nella sua totalità è un balzo in un paese che spesso consideriamo lontano, dai risvolti e dai contorni poco conosciuti, vaghi, sfumati nelle parole guerre e genocidio. In Stills of Peace, l’Armenia assume le dimensioni, le forme, l’immagine delle fotografie esposte: non morte e distruzione, ma umanità e quotidianità, l’umiltà di un popolo che sopravvive, la bellezza nel dimenticato, nel piccolo, nella vicinanza. Una ricchezza umana nelle sue manifestazioni più vive e semplici.
La vita di tutti i giorni, un paese, un volto dall’espressione istantanea diventano i soggetti di una narrazione visiva forte, di grande impatto.
Fanno parte del percorso anche sculture, opere su vari supporti, pittura, installazioni multimediali, materiali diversi, video come nel caso degli scatti di Iovacchini. Un racconto che coinvolge sfere diverse e che rappresenta l’Armenia inedita, nelle sue bellezze e fratture, fragilità e forza d’animo, il grido di un popolo e la voce del singolo che persiste, resiste nonostante tutto. Singolare è ogni foto, sia che si tratti del lavoro di un professionista sia che raffiguri il contributo di un fotografo più giovane. Ognuno ha saputo dare un preciso indirizzo alla sua opera, un orientamento utile a creare quel legame visivo, emotivo con quello che la foto esprime e a suo modo ritrae.
Vedere da vicino significa entrare in quel preciso momento, far parte di quella scena catturata, di quella quotidianità che c’è e a sua volta appartiene alla gente e al luogo. Il video di Giovanni Iovacchini contenente i suoi scatti, accompagnati in sottofondo da uno strumento popolare tipico, sono particolari e (parola forse banale e riduttiva) bellissimi, ricchi di vita, di quella semplicità che lascia sorpresi perché capace di cogliere il valore della prossimità.
“Sono foto che non cercano di spettacolarizzare” sottolinea il curatore Paolo Dell’Elce, in effetti la sensazione è proprio questa: spazi vissuti, spontanei che non cercano chissà cosa ma riportano, come suggerisce il titolo, un giorno qualunque.
Una casa, un muro, un pezzo di strada, la folla, una maestra che guarda la foto della sua vecchia classe, un’azione, un oggetto, uno sguardo, una macchina ferma, un’attività quotidiana…qualunque, ma tutti densi di significato, di vita, che raccontano l’Armenia più di qualsiasi discorso o parola.
Aperta fino al 3 settembre 2022, Stills of Peace è occasione di conoscenza e di scoperta, un modo per entrare in connessione e in contatto con un popolo e una cultura che così distanti ed estranei non sono. E soprattutto con una città capace di accogliere questa ricchezza, che nei suoi lunghi viali, nei suoi scorci soleggiati, nelle sue storie, può sorprendere.