Un ricordo dell’uomo che per 50 anni ha dedicato la sua vita alla ricerca nel campo del comportamento umano
Scompare all’età di 79 anni a Roma Stefano Benemeglio, fondatore del vasto corpus teorico e pratico delle Discipline Analogiche, lasciando un vuoto significativo nell’ambito della ricerca e innovativa prassi per le Discipline Olistiche tout court. Personamente lo avevo incontrato già più di dodici anni fa, senza comprenderne lo spessore e l’efficacia terapeutica, ferma alla sua goliardia superficiale, che lo portava a schernire in pubblico, ma con una finalità del tutto diversa da quella percepita, quegli stessi, delicatissimi terreni dell’anima che sapeva poi affrontare come chirurgo incomparabile per il disagio psichico e l’infelicità umana, della quale sapeva individuare le ragioni occulte, più profonde e insondabili, rivoltandone le zolle sotterranee perché fiori nuovi ne apparissero. La conoscenza e l’amicizia con una delle più solide fondatrici del metodo e della sua Università popolare, Upda, Lucianella Corbeddu e il provvidenziale intervento dell’altrettanto stimato amico Livio Beshir, mi avevano recentemente poi convinta ad iscrivermi ai suoi corsi, sincronicamente in un delicato momento di ricostruzione personale. Ho potuto così conseguire con orgoglio il diploma (presto Laurea) di Analogista, subendo l’incantamento attivo del genio ipnotico di Stefano, conoscendo così anche sua moglie, Samuela Stano e il resto del valido corpo docente: Angelo D’Acunto, Armando Stano, Oronzo Liantonio, Olga Fusaro, la cortesia della segreteria nella persona di Francesca Setti. Proprio ora contavo i giorni per frequentare il master annuale e sistemare definitivamente la mia tesi aggiungendo le sue scoperte più recenti, per pubblicarla presto con orgoglio quando è arrivata la notizia della sua scomparsa. Siamo rimasti tutti storditi dalla rapidità del decadere delle sue condizioni di salute, degenerata da una semplice influenza, forse perché era difficile immaginare un uomo così vivo.
In pochissimo tempo ho perso tre maestri: Cristobal Jodorowsky, Daisaku Ikeda, Stefano Benemeglio, tutti caratterizzati da un’instancabile dedizione alla ricerca sul cuore umano apparentemente inarrestabili nell’opera di diffusione della propria ricerca, compassionevoli e capaci di creare intorno a sé gruppi di persone unite da fiducia e intimità, rispetto e capacità di sostegno reciproco. Per tutti e tre la ferita originaria non è condanna ma trampolino di lancio verso una profonda riconquista e nessun dolore inguaribile davvero.
L’essere umano centro del mondo nella sua costante possibilità di superarsi e incoraggiare al cambiamento. Senza stilare graduatorie (che le differenze ci sono e poderose) constato che l’epoca corrente richiede davvero, e con veemenza, di salutare l’idea istituzionale di maestro, per cercarne lo spirito e gli intenti al proprio interno. Di fatto le classi Upda sono riuscite a creare quello spirito di corpo che sentivo sbiadire altrove, e, dopo un inizio così cauto da sembrare sospettoso, ho imparato ad amare i miei colleghi con sincerità e slancio. Cecilia, Manuela, Giovanna, Cristina ritrovata, Raffaella, Alessandra, Angelo, Stefano, Stefania, Tiziano, Tonino, Alessia, Andrea, Julian, Claudio, Fabio, amici, confidenti, compagni di percorso, sono rapidamente entrati a fare parte del mio cuore, dei miei progetti e più che mai lo restano. Ci vediamo ancora cambiare ogni giorno, anche nei lineamenti, nelle posture, con solidale partecipazione.
Ma chi era in breve Stefano Benemeglio? Ipnotista, saggista, filosofo, noto ai più per le sue sorprendenti apparizioni durante il Maurizio Costanzo Show, padre di tre figli, divulgatore inarrestabile delle più sottili leggi che governano i nostri sogni e gli impedimenti agli stessi, raffinatissimo decodificatore degli equilibri e disequilibri creati dai nostri pensieri e dalla nostre emozioni, dei sigilli che i nodi traumatici di ognuno appongono alla ricerca della felicità, che è già secondo il suo pensiero ingrediente basilare della felicità stessa. Costante l’affondo nelle nostre coazioni a ripetere, i limiti autoimposti, le pericolose banalità negate per proteggere il carnefice, le comuni autonegazioni del proprio valore, la sfiducia di vincere dove si è sempre perso… Durante le sue lezioni non era difficile assistere a effetti mirabolanti, come tavolini che ballano, lampadine scoppiare, aghi che non fanno sanguinare, sigarette pressate sulla pelle senza bruciare, tanto che capivi intuitivamente i fachiri, gli sciamani, le apparenti guarigioni miracolose di altre tradizioni, constatando con mano l’indissolubile legame tra mente e corpo. Eppure bastavano un paio di lezioni per rendersi conto che dietro quelle esperienze limite, corpi irrigiditi o disciolti, singhiozzi senza fine, lacrime impreviste alle canzoni più viete di Sanremo, rabbie calcificate, dissepolte come fossili e profluvio di emozioni compresse ad ammalare, esisteva uno sguardo unico, dotato di una precisione senza paragoni, abile nel comprendere da poche parole e minimi gesti le fondamenta stessa del dolore e del desiderio di ciascuno, le libertà oppresse, i giudizi paralizzanti, i sogni distrutti; colpire con freccia di cristallo il centro esatto della fossilizzazione per ognuno del disavanzo primordiale. Nella sua immensa esperienza terapeutica non sono per esempio rare le regressioni di malattie diagnosticate come incurabili (per prima la sua, contro la quale negoziò felicemente con S. Antonio la nascita di un bimbo nuovo) e, meno platealmente di relazioni vivificate, carriere stravolte a migliorare.
Al fondo del suo sguardo verdissimo, ironico fino a un sarcasmo esasperato, limpido come quello di un bambino e torbido nel leggere i segreti più morbosi di ogni cuore, senza moralismo, senza pietà alcuna, dimorava uno stupore costante, una benedetta curiosità, un rispetto estremo per l’essenza umana stessa, che lo accomuna ai più grandi filosofi della Storia e come per loro la sua scuola ha fondato davvero un pergolato stabile e accogliente. Maestro indiscutibile, dall’ego non certo esile, eppure sempre generosissimo, istrione, matematico, esoterista, buffone e mistico, mi ha regalato personalmente un’autostima accresciuta, una comprensione inedita di alcuni dei miei nodi strutturali, grazie alla pratica del dialogo con l’inconscio da lui creata, che stavo contando i giorni per riprendere, già che uno dei cancri animici di disamore più incistati nel mio essere e scordato, aveva saputo strapparlo e bene, solo due anni fa.
Dopo numerosi anni di preghiera e ricerca, studi svariati e tutti splendidi, esperienze indiscutibilmente mistiche, ho ritrovato in questa situazione il gusto dello sfondare le soglie dell’apparentemente banale, per rendere la vita migliore e vivida. Tornare alle dinamiche ancestrali dell’inconscio, non permettere rimozioni alle cambuse segrete che internano un papà e una mamma complicati, per tornare adulti tirati a lucido, e capaci di aiutare gli altri a farlo. Come in uno dei suoi esempi più celebri faccio parte di quella categoria umana che, come in un negozio svaligiato, ha messo un antifurto tale da bloccare l’accesso anche ai clienti e, attraverso il nostro incontro e a chi e ciò che lo circonda, ho cominciato a indebolire la portata del dispositivo dove serve, amplificandone invece la percezione lì dove la dignità è mortificata e offesa. A riconoscere i confini del sacrificio autoinflitto e la gioia della sfida costantemente sostenuta per essere davvero me. E ancora avrei così tanta voglia di tornare a specchiarmi in quella risatina immensa, umana, davvero troppo umana, che questa fine dei maestri è davvero scomoda e complessa da gestire.
Gli argomenti anche solo da accennare sarebbero veramente troppi, dunque invito chi legge a munirsi dei suoi libri, cominciando magari da L’arte delle emozioni, scritto con Samuela stano, Om edizioni, di facile lettura benché intensissimo, autentico breviario di sopravvivenza.