Antonello De Rosa, interprete perfetto accanto alle cinque rose rosse
Cinque rose rosse. Di lato, in un vaso. Sul tavolino. Accanto al telefono. Cinque rose rosse che ricordano un nome ormai familiare, un travestito che ha battuto più palcoscenici che marciapiedi, un uomo di teatro che non c’è più, eppure sopravvive in quei fiori. Cinque rose, ancora rosse, sempre rosse per il sogno di Jennifer messo in scena al Teatrosophia da Antonello De Rosa, regista e interprete del personaggio che più di tutti gli altri ha rappresentato il suo autore, Annibale Ruccello, dalla cui penna nacque quel docile femminiello disperato d’amore per Franco che, da quasi mezzo secolo, tiene lei inchiodata in casa, da sola, in attesa di una telefonata.
Ma ieri sera, più di Jennifer mi ha colpito Antonello. Ed è giusto cominciare da lui: dalla sua presenza, dalla sua consapevolezza d’attore, dalla naturale predisposizione a usare lo spazio scenico, a essere padrone di quello spazio. Insomma, ieri sera mi è parso di vedere un attore con la A maiuscola. Un vero attore. Perfetto nella postura con cui si è rivestito del personaggio. Perfetto nella decisione dei movimenti. Perfetto nel misurare in ogni direzione i centimetri di scena. Meno perfetto nella dizione, ma meglio una dizione appena imperfetta che un interprete in costante contemplazione di se stesso, alla ricerca della telecamera o dell’antico occhio di bue tanto caro al nostro avanspettacolo. Antonello De Rosa è un attore perché sa recitare anche di spalle ed è cosciente che anche le spalle possano mostrare l’atteggiamento di un personaggio. De Rosa non cerca l’approvazione del pubblico, non lo guarda neanche, ma fa in modo che il pubblico non stacchi gli occhi dalla sua figura. Usa il proscenio senza imbarazzi, non preoccupandosi di rivolgere in ogni istante il viso alla platea. Sa bene che quel muro invisibile che divide il palco dalle sedie può anche essere, con la giusta parsimonia, la parete della sua stanza. E, cosa sempre più rara, non nasconde mai alcuna incertezza: nei piccoli incidenti (un oggetto che cade inavvertitamente a terra) usa la logica più dell’imbarazzo. Sembra straordinario! Eppure queste sono le differenze sostanziali tra un attore di teatro e una comparsa televisiva. Purtroppo, oggi, che di televisivi se ne vedono tanti, soprattutto nei teatri di maggior prestigio, e si pavoneggiano pure, quando finalmente ne passa uno che si distingue per la sua razza genuina, bisogna elogiarlo. Addirittura si sente la necessità di elogiarlo, affinché si possa continuare ad amare il teatro.
Adesso possiamo parlare di Jennifer, il sogno, lo spettacolo di cui De Rosa è protagonista e regista. Jennifer non scende giù per Toledo, e soprattutto non va di fretta, anzi, trascorre la giornata tra le mura della sua casetta, a vestirsi e a rivestirsi con abiti assai appariscenti, in attesa della telefonata di Franco, mentre alla radio passano le canzoni di un’epoca oggi lontana e il notiziario annuncia efferati omicidi di un maniaco che uccide i travestiti della zona. Nulla, però, preoccupa Jennifer, se non l’attesa. Nel tentativo di far arrivare all’uomo il suo desiderio appassionato, tramite la trasmissione radiofonica, dedica all’amato una canzone emblematica Amaro è ‘o bene, nella versione cantata da Mina, icona di quel mondo: evidentemente l’affezione che lei sente per la promessa di Franco, diventa amara, man mano che quella speranza si trasforma in illusione. L’occhio puntato sull’apparecchio telefonico aumenta la consapevolezza della solitudine, moltiplica l’angoscia per lo squillo agognato; ma tra tante telefonate – chi cerca Carmela, chi Luana – si percepisce il desidero di trovare un pizzico di sollievo nella parola involontaria, quella dello sconosciuto di turno che sbaglia numero o che si diverte a chiamare a casa del femminiello per prenderlo in giro. Ogni distrazione avvicina l’anima di Jennifer a Franco, perché chiunque potrebbe essere Franco, anche la vicina di casa (Margherita Rago); ma immediatamente subentra il terrore che ogni intromissione potrebbe allontanarla dal suo sogno. Nell’elaborazione della solitudine, un delirio silenzioso prende il sopravvento.
Un terzo personaggio (Marianna Avallone) si materializza in scena sotto sembianze irreali. È l’anima buona di Jennifer, è la sua coscienza, che prima lo accudisce e lo spinge a sognare, poi lo accompagna nella preparazione dell’attesa, quando il sogno sembra essere quasi realtà, ed infine lo sollecita, con uno spietato conto alla rovescia, al brusco risveglio accanto alle cinque rose sempre più rosse. Sempre più sole. Sempre più spinose. Era un sogno, ma forse no.
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Jennifer, il sogno, da Annibale Ruccello; diretto e interpretato da Antonello De Rosa; con Margherita Rago e Marianna Avallone. Teatrosophia, fino a oggi (domenica 12), ore 18
Foto di copertina: Antonello De Rosa in «Jennifer, il sogno» Foto © Mario Giannini