Ennio Coltorti, patron del piccolo spazio denominato Stanze segrete, alla fine dello spettacolo, ferma gli applausi del pubblico e annuncia che la sua sala, il prossimo 29 gennaio, quando termineranno le repliche di A cena col diavolo, chiuderà i battenti. È l’ennesima triste notizia per la Capitale che, così, vede spegnersi i riflettori di un altro teatro che, pur se di dimensioni assai ridotte, ha sempre regalato ai romani allestimenti molto raffinati e di un ottimo livello culturale.
Non voglia sembrar superfluo annotare che per la rappresentazione della Cena del 6 luglio 1815, tra il ministro Charles-Maurice de Talleyrand e Joseph Fouché, capo della polizia parigina, le luci – autentico coup de théâtre – sono state già spente. Le case dell’epoca, infatti, ancora non erano illuminate dall’elettricità e il pubblico assiste (evento oggi più unico che raro) ad un’affascinante messa in scena a lume di candela. Qualcuno potrà obbiettare che forse la penombra potrebbe rendere ardua la visione: alle Stanze Segrete questo pericolo non sussiste. Gli specchi alle pareti, grazie all’accurata regia di Coltorti, catturano la fiammella delle steariche e la riflettono ovunque senza nemmeno creare fastidiose ombre di contrasto. Una simile atmosfera, tanto accogliente quanto suadente, per una cena d’addio di un teatro, meriterebbe una tale affluenza di pubblico da convincere Coltorti a programmare immediatamente un pranzo d’inaugurazione per la prossima stagione.
Jean-Claude Brisville, commediografo, ma soprattutto storico francese, ha scritto il testo (Le souper), ottimamente tradotto da Maria Jatosti, nel 1989, condensando, in una immaginaria cena avvenuta in casa del ministro, i dialoghi realistici tra i due personaggi che si divisero il potere in una Parigi che in pochi anni passò dalla monarchia di Luigi XVI, alla Costituzione del 1789 (subito dopo la Bastiglia), all’impero di Napoleone, fino al ritorno dei Borbone con Luigi XVIII. Dietro tutti questi misfatti, che influenzarono le sorti dell’intera Europa, i poteri di Talleyrand e di Fouché non furono mai intaccati né messi in discussione da qualcuno.
Dunque, Napoleone (che con la sua grandeur «ha ucciso la dolcezza del vivere», sottolinea amaramente il ministro) è confinato all’isola d’Elba, il congresso di Vienna, che ha tenuto impegnato Talleyrand, è da poco terminato, e l’Europa si sta riorganizzando, quando il Corso intraprende l’ultima sortita in cento giorni, ma viene sconfitto a Waterloo dall’esercito inglese di Wellington. L’Empereur è definitivamente caduto. Il popolo di Parigi è in subbuglio, percepisce il pericolo del ritorno della monarchia che renderebbe vano ogni sacrificio commesso per ottenere la Costituente. Ed ora, a notte fonda, si lavora in coppia per la Restaurazione. I due protagonisti, che per anni si sono osservati e temuti, devono adesso, nell’arco di poche ore, trovare un accordo che possa garantirgli la continuità dei loro poteri.
Ed eccoli i due artefici, i due diavoli, uno di fronte all’altro, a cena al lume di candela, ma con parole affilate come rasoi (più volte si usa la parola tagliente, anche per ricordare la lama della ghigliottina che scivolò sul collo dell’ultimo monarca) pronti a battersi in una schermaglia di continue minacce e provocazioni, di avvertimenti e false promesse; un dialogo al vetriolo tra un piatto di salmone e un calice di champagne. I due sembrano studiarsi tra le prelibatezze che degustano, ma in realtà si conoscono fin troppo bene: ognuno potrebbe elencare a memoria vizi e peccati dell’altro; tradimenti e crimini commessi tutti per preservare l’interesse personale. Fouché (Luca Biagini) è più focoso, più impaurito, molto più nervoso del pacato nobile vescovo (per decreto reale, che ha celebrato soltanto sette messe in vita sua). Un discutibile prelato (Ennio Coltorti) che vive sotto lo stesso tetto con un’amante di appena 17 anni, sua nipote. In realtà i timori del capo della polizia sono giustificati: lui potrebbe perdere molto più dell’altro. È lui che al momento detiene il freno dell’animosità generale, ma potrebbe anche essere la prima vittima del malcontento popolare.
Tuttavia la nostra cultura democratica ci spinge a una piccola riflessione registica. L’autore, in didascalia, fa irrompere in scena, attraverso i vetri della finestra che vanno in frantumi, alcune pietre lanciate dalla strada. Sono i più facinorosi che fanno sentire la voce arrabbiata dei cittadini, la ribellione viva e presente che attesta uno stato di crisi esasperato. Nella messa in scena di Coltorti queste schegge di generale scontento, per ovvi motivi di spazi e per evitare disagi anche al pubblico, non ci sono. Pertanto il popolo in subbuglio viene relegato all’immaginazione che, anche se supportata da alcuni effetti sonori, non raggiunge mai la tensione in ribalta; di conseguenza il dialogo appare spesso distante da una latente pericolosa realtà che sarebbe molto più cruda se le manifestazioni popolari fossero più presenti. Per rimediare Fouché si affaccia alla finestra varie volte, controlla la strada sempre affollata. Sa che da quelle stanze dovrà uscire con qualche promessa da elargire, almeno fino al giorno dopo, quando il nuovo re Borbone potrà raggiungere les Tuileries: «Abbiamo saltato un numero, ma siamo sempre in famiglia», è l’abile Talleyrand a portare il conto, per entrambi, assai conveniente!
Nonostante il clima di guerra fredda che corre tra un bicchiere e l’altro, il Vizio e il Crimine mangiano insieme, ballano e brindano «all’immobilità della storia e al movimento degli affari».
____________________
A cena col diavolo (Le souper) di Jean-Claude Brisville; traduz. Maria Jatosti. Con Ennio Coltorti e Luca Biagini e con Stefano Starna, Nathan Macchioni, Francesca Buttarazzi. Costumi di Fabrizia Magnini, scene di Massimo Jatosti, musiche di Antonio Di Pofi, regia di Ennio Coltorti. Stanze segrete, fino al 29 gennaio