Antonio Barracano è diventato, per antonomasia, il sindaco delle cause sporche, quelle che è meglio non portare in un’aula di tribunale. Personaggio eduardiano tanto abile quanto logico nel restituire perpendicolarità all’ago di una bilancia che pende sempre e comunque dalla parte del male. Don Antonio accoglie in casa sua, proprio come in un’aula giudiziaria, piccoli gangster che si sparano per un nonnulla, loschi individui che campano sulle spalle altrui con lo strozzinaggio, gente disperata e afflitta in cerca di vendetta, e lui li accontenta tutti cercando di portare giustizia in una terra che mai l’ha conosciuta. Né ieri, né oggi, né domani.
Antonio Barracano s’è battuto fino alla morte affinché il mondo fosse «meno rotondo e un poco più quadrato». Il sindaco del rione Sanità, nel tentativo di raddrizzare la società del luogo secondo un principio di coerenza, più che di onestà, di lealtà, più che di legalità, ha sviluppato in sé un’idea di giustizia talmente chiara e apodittica che perfino quando sua moglie, azzannata dal cane all’una di notte in giardino, è stato spinto dalla sua stessa coscienza a dar ragione al mastino.
Dunque, in onore al senso di giustizia di Barracano e per la devozione che porto per il suo autore, maestro di vita e di teatro, è assolutamente necessario restituire lealmente dignità al testo, usurpato, chissà perché, del suo titolo originale. Soltanto così potrò sottoscrivere questo giudizio «in fede», l’espressione emblematica che annuncia il calar della tela. Non si tratta naturalmente di difendere Eduardo, ché non ha bisogno di essere difeso, tantomeno da me, ma per una questione di morale occorre immediatamente chiarire che l’operazione è poco limpida.
Andare a teatro e non trovare nel foyer nemmeno una locandina dello spettacolo, e non riuscire a reperire neanche una piccola brochure con le indicazioni di base: titolo, autore, regia, nome del protagonista – nulla – è controproducente perché irritante. Non dico il critico, ma chiunque potrebbe pensare che si tratti di una recita parrocchiale, di un saggio scolastico: eppure, anche queste performance dilettantesche vent’anni fa venivano annunciate con fotocopie stampate all’ultimo momento nella copisteria di quartiere.
Quindi, per le informazioni, son dovuto ricorrere all’invito ricevuto sul cellulare: Un uomo è un uomo tratto da «Il sindaco del rione Sanità» di Eduardo De Filippo; regia di Kabir Tavani. Io non conosco di persona il signor Tavani, né posso immaginare se fosse sul palcoscenico tra gli attori della compagnia. Una compagnia senza nome, perdipiù! Nemmeno l’egocentrismo di Eduardo (che, dopo la lite col fratello Peppino, sui manifesti si tolse anche il cognome) arrivò ad ignorare l’identità dei colleghi in cartellone.
Troppe oscurità intorno a questo spettacolo, andato in scena in un teatro di periferia, mi hanno insospettito. Inoltre, l’eccessivo ritardo con cui s’è fatto buio in sala (oltre venti minuti!) ha rinvigorito ancor più la diffidenza. E siccome chi scrive ha battuto per anni il marciapiede di molti teatri d’Italia – proprio come una vecchia zoccola – appena s’è aperto il sipario la puzza di bruciato m’è arrivata dritta sotto il naso. Alla terza battuta s’era già compreso che il testo annunciato col titolo brechtiano di «Un uomo è un uomo» tratto da «Il sindaco del rione Sanità» di Eduardo De Filippo era esattamente «Il sindaco del rione Sanità» di Eduardo De Filippo; Brecht, non c’entrava niente! Non un’idea tratta da …, non un adattamento, ma la commedia di Eduardo così com’è scritta, sottoposta a qualche taglio e portata in scena senza nemmeno uno stravolgimento registico.
Allora, mi chiedo: per quale motivo cambiare il titolo a una delle commedie più famose del più stimato e facoltoso commediografo italiano (con Pirandello) del Novecento?
Antonio Barracano direbbe: «Le mancanze sono due». La prima, morale, è stata commessa nei riguardi di Eduardo, al quale molto probabilmente darebbe fastidio vedere un suo testo mascherato dal titolo di un’opera di uno stimatissimo collega tedesco, benché la frase sia riportata nel testo originale. La seconda, addirittura surreale, nei confronti di Bertolt Brecht che – suppongo – non avrebbe mai immaginato di titolare una commedia scritta in napoletano.
Insomma, parlare dell’operazione teatrale di questa anonima compagnia è del tutto superfluo, se i suoi fautori non si sottopongono a un buon lavaggio di coscienza. «L’ommo è ommo solamente quando riconosce un errore commesso, se ne assume le responsabilità, e cerca scusa», parola di Antonio Barracano.
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Un uomo è un uomo tratto da «Il sindaco del rione Sanità» di Eduardo De Filippo. Regia di Kabir Tavani. Teatro della Visitazione, fino al 26 febbraio