Sorellanza, dissociazione e simbiosi, fino al sangue

di Marco Buzzi Maresca

Una musica battente a cui di sottofondo si intreccia, sempre più emergendo un  pulsare cardiaco. A terra nel buio – a centro scena – un panno cremisi, a tumulo sotto il quale sta, accovacciata, per ora immobile ed invisibile, l’attrice. Piano piano l’insieme si muove e alza a onde, a ritmo, dilatandosi come uccello che voglia aprire le ali. Poi, a sussulti, si leva in piedi, di spalle, capelli sciolti su uno scialle grigio. Si gira .. bocca aperta stop motion (in maschera). Si leva lo scialle. Si torce e si carezza .. con il dilagare di un sorriso sempre più estatico. Abbracciandosi si toglie un camicione bianco .. Si toglie cose a pezzi, come se il rinascere da un guscio-seme portasse una pianta ad aprirsi e respirare. Ora rimane con vestito rosso fuoco, che poi solleva sulla testa. rimanendone per un attimo imprigionata come nel bacio di Magritte. Se lo toglie. Rimane con indosso solo un vestito nero. Si toglie anche quello, rimanendo in intimo nero, trasparente, di pizzo, su reggiseno e mutandine neri. Ora la musica tace. Chi è che sorge dal nulla all’eros ? Comincia a parlare. E da qui in poi saranno valanghe confessionali, a sfogo.

“ Non mi piace l’estate, non mi piace il caldo. Questa canicola dura da tre settimane: fa caldo fuori, fa caldo in casa. Non c’è mòdo di difendersi. L’estate piovosa e fresca mi piace, ma la canicola mi fa stare proprio male. La canicola non dà scampo […] Ho anche chiuso le finestre. Ma la canicola entra lo stesso … non vede ostacoli e questo mi fa soffrire … Non ci siamo viste né sentite per anni. Poi un giorno, improvvisamente, mia sorella Pia è venuta a trovarmi. Non me lo aspettavo. Io non aspetto mai nessuno. Sono sempre sola io.”

E’ Giordana per ora a parlare. Tuttavia ben presto il pubblico capisce che l’attrice interpreterà a turno entrambe le sorelle, Giordana e Pia, con cambi di voce gestualità vestiti. Ma il segnale più evidente, nei cambi spesso veloci ed accavallati del dialogo è il gesto di mettersi e togliersi un cappellino a cloche (anni ’20). Inizialmente, e a lungo, la dinamica sembra chiara. Giordana è la ribelle fallita. Se n’è andata dal paese e gestisce una libreria fallimentare. Il compagno l’ha lasciata, e lei, che sognava, senza riuscirci, di scrivere un romanzo, mente a se stessa. Fa sempre come se lo stesse scrivendo (e Pia finge di crederci), ma sostanzialmente fuma, beve fino all’alcolismo, ed evita la gente.  Pia è invece quella normale, troppo normale, fino alla nevrosi vendicativa. Rimasta al paese, a fare la sarta dei poveri, ora porta con sé la sorella, a casa sua, per proteggerla ed accudirla, ma con uno spirito controllante che rasenta il sadismo. Le toglie le scarpe perché non possa uscire a bere, e quando lei lo fa lo stesso, decide che Giordana deve dormire in stanza con lei (ma per terra).

Man mano cresce la violenza tra le due. Pia non solo la sbugiarda sul romanzo, ma vorrebbe fare con lei i loro giochini perversi d’infanzia: toccarsi, leccarsi. Quando Giordana poi, evasa, torna a casa contusa ed infangata, la lava amorevolmente. Ma crescono le polemiche. Giordana stuzzica Pia sulle sue frustrazioni amorose e sul suo lesbismo strisciante. La accusa di ricavare eccitazione nascosta dai corpi delle clienti, che tocca nel vestirle.

Finora tutto sembrava propendere a renderci simpatica Giordana, pur nella sua deriva. Ora però, con un piccolo colpo di teatro, le cose si capovolgono, ed appaiono le ragioni di Pia, che così, amaramente e con intensa e patetica disperazione, investe la sorella.

”Sei gelosa che non riservo solo a te le mie attenzioni? Ho rovinato tutta la mia vita a causa tua: per proteggerti. Continui a giudicarmi … Fin da piccola eri saccente, io ero solo capace di rammendare vestiti strappati, vero?! Mi hai fatto sempre sentire inferiore “Tu una grande scrittrice e io una…brava sarta” E mamma rincarava la dose. E intanto chi c’era a recuperare mamma quando in pantofole andava a farsi due passi in tangenziale, eh!? O quando andava a prendere a schiaffi i ragazzini per strada? Chi c’era a toglierle la bava dalla bocca. Fino all’ultimo respiro! E papà! Quel lurido perverso… lui li spiava i nostri giochi infantili, sapeva tutto e diceva alla nostra mammina: “Che meraviglia le nostre figlie si amano …si amano”. Mi hai lasciata da sola! Tu sapevi tutto di me e mi hai lasciata da sola, con quei due. Ti ho confidato quanto questo mio amore diverso mi avesse turbata, sempre. È devastante provare desiderio e non riuscire a viverlo. Tu sapevi quanto ero triste e sola e disperata. Tu per prima mi hai giudicata, i tuoi occhi mi hanno vista come una patetica, brutta, zoppa, viziosa! Ma ora non vai da nessuna parte. Con te ho iniziato e con te voglio finire!“   

A questo punto Pia è disperata e aggressiva, e si avvicina a Giordana con una bottiglia rotta, come per impedirle di andarsene. Finisce male, e Giordana avanza disperata in scena con le mani insanguinate. Racconta. Non voleva. Ma è finita con la morte di Pia.

Per chi conosca i testi di Mocciola non è una sorpresa. Costruisce sempre con abile gradazione il crescendo della tensione e la grammatica delle contraddizioni. Ma soprattutto ama i sottili giochi di perversione e reciproca dipendenza che rendono i rapporti un progressivo strangolamento sadico patetico. 

Detto questo qua spiccano con intensità la regia di Giorgia Filanti, ed il magistero dell’attrice, Serena Borelli.

Sicuramente la Filanti, come descritto all’inizio – e avanti per tutta la pièce – sa giostrare bene sui simbolismi gestuali e coloristici, con intensità sintetica, e ben usando la musica. 

Qui però è difficile dire dove finisca la Filanti e cominci l’arte dell’attrice. La Borelli usa splendidamente la voce in tutti i registri, e commuove, ma sicuramente l’intensità è data anche dallo scatenamento fisico che la accompagna, la cui energia e fatica si sommano alla voce, impedendo qualsiasi slittamento nell’accademico. La Borrelli si avvita, si torce, si accarezza, si sbatte contro le pareti, si accascia. Straluna il volto in mimiche espressionistiche, da film muto, e con stop motion, imponendo maschere di dolore e di falsa estasi.

La biomeccanica di Mejerchol’d, certo. Di base. Quello che però mi colpisce è la capacità di usare i controscatti, ed in generale movimenti del corpo a direzione contraddittoria, che trasmette energia sofferta, a sussulti. In particolare splendida quando racconta e rivive la colluttazione avuta in paese, sotto la pioggia, il suo franare nel fango, e rialzarsi.

La Borrelli avanza a scatti e singulti, al ritmo della musica, come sferzata. Lentamente. Il corpo sbilanciato in avanti con controscatti indietro delle braccia, e con le gambe incrociate e prigioniere, con i piedi estroversi appoggiati sui fianchi. Lenti tormentosi passettini sofferti, quasi strisciando.

In definitiva un ben orchestrato incastro di talenti.

Le nostre figlie si amano – da un’idea di Antonio Mocciola – Regia Giorgia Filanti – Con Serena Borelli – Aiuto regia Elisa Zedda – Light designer Diego Pirillo  – Sound designer Luigi Parravicini  – Make Up Artist Cristina Attanasio – Fotografia e grafica Lausi

Al Centro Culturale Artemia di Roma dal 26-28 maggio 2023