Ombre e magia: Sogno di una notte di mezza estate incanta il Teatro Quirino in una versione dark che proietta forze ancestrali e psichiche sulla scena
Un tempo sospeso e dilatato che incanta e stordisce, un tetro gioco di maschere e identità che indugia nel compito di avvalorare attraverso la messa in scena quel “pensate di aver dormito, e che questa sia una visione della fantasia”. Un’ipnosi collettiva, un sogno dal ritmo inesorabile, come il battito di un cuore. Costumi ammalianti, vistosi, di un altro tempo. Il regista Daniele Salvo rinuncia al tentativo di attualizzare l’opera e investe su una contemporaneità ancora più profonda: quella della dimensione inconscia. Così Sogno di una notte di mezza estate si presenta come una creatura misteriosa e perturbante, un enigma onirico che sembra fuoriuscire dalla mente tortuosa del Puck di una straordinaria Melania Giglio.

Grottesco, inquietante, sinistro. Un Puck che si amalgama all’alone tenebroso dello spettacolo e anzi ne sembra il principio scatenante. Un Puck che si contorna di strane creature ibride tra Lynch e Tolkien. E parlando del Signore degli Anelli, sembra ereditare tanto da Gollum/Sméagol, sia nel portamento impacciato, sia nella modulazione della voce, una voce gutturale, stridula, rauca che nel dire una frase innocente come “La mia signora” ricorda quel “Il mio tesoro”. Una voce che nasconde un suono innocente e femminile che viene stravolto e deformato ottenendo un effetto macabro e perturbante. Melania Giglio lavora con maestria su questa caratterizzazione, reinventa la propria fisicità in modo incredibile, si trasforma in una creatura piccola e repellente dalla mente astuta e il fascino conturbante, la cui potenza vocale esplode in energici momenti di musica in stile opera rock dal canto che tutto travolge.
La regia di Daniele Salvo parte dall’enfatizzare una realtà umana glaciale, un tempo in cui qualcosa si è incrinato. In primo luogo scopriamo più avanti che la natura vive un disordine causato dalla lite tra Oberon e Titania e dunque è il fondamento metafisico della realtà stessa a essersi distorto, come in un precoce nichilismo nietzschiano. La severità del mondo umano è dovuta però anche alla rigidità delle sue regole, che seppelliscono speranze e sogni, obbligando a fughe in nome dell’amore e della dignità femminile. Un Atene dove il potere maschile impone con il suo patriarcato matrimoni e vincoli. Un Atene cupa che affossa la libertà e ci fa pensare al conflitto legge di Stato e legge morale del cuore che caratterizza il mito tragico di Antigone.
Esiste però una via di fuga da questa oppressione del concreto: il mondo boschivo, il mondo della magia. Anche questo non è del tutto innocente e senza insidie, ma è un luogo dove ritrovarsi perdendosi, una dimensione di catarsi che può portare a un nuovo inizio. Il dionisiaco si configura così come visione e rinascita, fondamento e libertà. Una natura che soffre il conflitto tra Oberon e Titania. Una mancanza di armonia che scombussola i sogni dei mortali e i loro desideri, che legittima gli scherzi degli spiriti, che inciampano nelle proprie imprese. Insomma il mondo apollineo è in crisi, dimenticato, lontano quanto mai in questa versione di Daniele Salvo.
Fondamentale il maestoso lavoro del costumista Daniele Gelsi, a cui abbiamo anche dedicato un’intervista a riguardo, che crea due macrocosmi visivi: quello della corte e quello boschivo. Il primo è contraddistinto dall’aderenza a una iconografia elisabettiana con spiragli di licenze e libertà creative e adopera colori scuri, principalmente neri e viola, che accentuano un carattere rigoroso, austero e tetro. Quello boschivo si definisce in una maggiore autonomia espressiva rispetto alla ricostruzione del costume storico: un estro creativo abbraccia verdi e colori chiari, forme e materiali come sete e garza che di fatto restituiscono una sensazione di leggerezza, evanescenza e spontaneità che altro non è che il dominio della fantasia e dell’immaginazione.
Siamo nel regno del sogno e tutto quello che vediamo deve avere la parvenza dell’inverosimile e del meraviglioso. Persino la parte umana della corte non è riassumibile nei confini della ricostruzione filologica e conserva un’aura di mistero e impenetrabilità. In fondo potrebbe essere tutto un incubo e costumi, scenografia e regia questo lo sottolineano benissimo. La corte si presenta imponendo il proprio rigore visivo e le geometrie degli spazi, essenziali ma intimidatori. La mancanza di decorazioni o orpelli visivi vieta ogni tentativo di addolcire l’atmosfera. Un concentrato di severità che viene lentamente scomposto e movimentato dall’entrata in scena delle creature del bosco, che portano con sé una ventata di scompiglio e di inatteso. Entriamo nel regno dell’ignoto con la sua ritualità e il profondo turbamento umano che si genera al cospetto dell’ineffabile, percepito come inquietante e minaccioso, imperscrutabile e angosciante.
Le scene prendono vita in un continuo mutamento di minimi dettagli che incarnano la metamorfosi che incombe sui personaggi. Lo spazio scenico diventa un’entità in continua evoluzione, un occhio partecipe, onnipresente, forse il riflesso delle marachelle e della mente di Puck, forse la natura stessa o uno spirituale nell’immanente, forse il trascendente che riflette sull’umanità, forse la proiezione dell’universo interiore di un personaggio o del pubblico stesso. Una complessità mutevole che dà adito a numerose letture grazie alla regia enigmatica di Daniele Salvo, che enfatizza archetipi e forze ancestrali e immerge il pubblico in un turbinio di emozioni e sensazioni. Note di modernità visiva si scorgono in accenni e dettagli, come la palla luminescente da discoteca usata come sfera magica.
Alla parola shakespeariana e alla sua declamazione perfetta e intensa si accompagna una recitazione che tiene conto degli spazi e li sfrutta pienamente, un dinamismo motorio che non si risparmia, un ritmo e una presenza corporea degli attori che colpiscono e sembrano orientarsi verso un crescendo che culmina in lotte e nel metateatro finale. Oltre tutto la giovane compagnia è in grado di recitare in due lingue: sono infatti state previste delle recite mattutine completamente in lingua inglese, metro fondamentale per la selezione degli attori. Al di là di ciò nessun interprete è fuori parte o manchevole di talento e questo adattamento, tradizionale e moderno al contempo, si presenta pieno di fascino e meriti.

Un’esperienza ipnotica e catartica che valorizza la modernità del testo shakespeariano e allo stesso tempo la sua solennità, rimanendo fedele al fascino del costume storico ma portando sulla scena i conflitti e le riflessioni che rendono e renderanno sempre Shakespeare quanto mai attuale e necessario.
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Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare – Regia di Daniele Salvo – Traduzione e adattamento Daniele Salvo, Melania Giglio e Marioletta Bideri – Con: Melania Giglio Martino Duane Alessandro Marmorini, Maria Luisa Zaltron, Federico Gatti, Marial Bajma Riva, Alberto Mariotti, Matilda Farrington, Tommaso Sartori, Odette Piscitelli, Eleonora Russo, Filippo Rusconi, Joyce Conte, Raffaele Vernieri – musiche: Patrizio Maria D’Artista – costum:i Daniele Gelsi – luci: Giuseppe Filipponio – scene: Fabiana Di Marco – Teatro Quirino dall’11 al 16 novembre 2025





