Ridere si ride nel nuovo spettacolo di Gianfranco Jannuzzo in scena fino al 2 febbraio al Teatro Golden, proprio come annunciato nei fogli di sala. Un copione cucito su misura per il suo talento gentile di narratore: promessa mantenuta indiscutibilmente. L’attore siciliano si muove (forse anche troppo, magari per il beneficio degli spalti laterali) da solo sulla scena per circa due ore, raccontando le vicende di un fuoriuscito da un piccolo paese del messinese, angolo dimenticato del mondo, dove i bar hanno nomi da dopoguerra, le donne immancabili profili anziani, anche quando non lo sono anagraficamente, i compari della piazza invariabilmente accidiosi e i sogni si chiamano emigrazioni.
E così il personaggio emigra, come in un racconto meridionale chi si rispetti: da quel sud si scappa per amore o per una minaccia e l’avvenire è lontano soltanto un attracco di traghetto. La Calabria è solo il principio di quel viaggio senza programma, proprio come le parole rovesciate dal palcoscenico, senza una regola apparente (bravissimo Jannuzzo nel simulare e mantenere una improvvisazione recitativa). Da qui il racconto cambia verso: il personaggio è sbarcato in continente, non sa esattamente cosa fare e dove andare, ma procederà per la penisola, verso Napoli, Roma, Firenze e Milano, e questo gli offre il pretesto per pompare il racconto con gli incontri con interlocutori locali, ai quali Jannuzzo rifà perfettamente il verso, imitandoli nelle calate vernacolari . Ma proprio qui il copione comincia a mostrare la corda: la trama narrativa, al di là delle risorse emulatrici di Jannuzzo, non offre altro che consunti stereotipi regionalistici, laddove il calabrese è uno ‘ndranghetaro immanente, il napoletano necessariamente un neomelodico, il romano una sorta di insolente attaccabrighe, il fiorentino un tronfio autoreferenziale, il milanese un apostolo del dovere.
Si ride, insomma, e tanto basta, come recita il foglio di sala: e qui siamo in pieno dalle parti di “innocenti evasioni”. A teatro (specie quando non sia dichiarato, come in questo caso) nessuno è tenuto all’approfondimento. Ma quando si ha a disposizione un talento poliedrico come quello di Gianfranco Jannuzzo forse l’auspicio di non vederlo fare il “siciliano per forza” può rientrare a buon diritto tra le aspettative del pubblico.