Torna al Romaeuropa Festival l’appuntamento con la ricerca artistica di Sasha Waltz nel tentativo, non riuscito, di dare forma ad un dialogo coeso, trasversale e contemporaneo tra danza e musica.
Negli ultimi trent’anni la coreografa Sasha Waltz ha segnato con la sua ricerca e il suo linguaggio coreografico la storia della danza, dando voce a quello che potrebbe definirsi un genere a sé, l’opera coreografica, combinando tra loro generi diversi ed instaurando un dialogo tra le svariate discipline e le arti. A partire dal 2008 sviluppa una stretta collaborazione con il Romaeuropa Festival, diventando un’immancabile appuntamento edizione dopo edizione. Quest’anno, così, la coreografa torna a Roma proseguendo (o almeno queste sembravano essere le aspettative) la sua ricerca dialogica tra musica e danza confrontandosi con l’intensa drammaturgia musicale di Beethoven e la sua urgenza sociale che trascende tempo e spazio e sollecita riflessioni profonde su questioni che richiedono, ancora oggi, delle risposte.
Pertanto, quando si ha di fronte un nome di tale prestigio, si è portati a pensare ad un’esperienza che trascendi l’ordinario; eppure da spettatrice mi sono ritrovata ad avere più domande che emozioni (che fosse questo il reale intento della coreografa?), lasciandomi perplessa su un lavoro che sembrava molto più che promettente. È possibile che un’artista, eletta ad icona internazionale del panorama performativo contemporaneo, non sia riuscita ad esprimere appieno le sue intenzioni drammaturgiche, rimanendo incatenata ad un linguaggio performativo piuttosto desueto? Forse le sue scelte stilistiche hanno limitato la capacità di innovare e trasmettere con efficacia la profondità delle sue idee, lasciando lo spettatore a interrogarsi sull’attualità della sua espressione artistica. Ma l’arte non dovrebbe, proprio come la storia che si evolve, trasformarsi e adattarsi? Non è forse compito dell’artista raccontare e raccontarsi, traslando i propri messaggi nel tempo e nello spazio, pur mantenendo intatta la propria essenza e identità, come una firma inconfondibile?
Nel tentativo di esplorare lo spazio e la sua architettura attraverso un gioco di traslazione di piani poco leggibile, il risultato ne è stato un movimento corporeo quasi per nulla coeso e armonico, dando talvolta l’impressione di un esercizio geometrico piuttosto che di una ricerca creativa autentica. Suddivisa in due parti, la pièce si apre sul ritmo e la melodia inedita di una composizione elettronica a firma del compositore Diego Noguera. Pensata come una sorta di quinto movimento per la Sinfonia n.7 di Beethoven, si ascrive invece come drammaturgia musicale del primo atto della pièce, dove a materializzarsi – tra corpi sincopati e una coltre di nebbia – è una dimensione fisica e percettiva aliena; distopica, dal gusto piuttosto retrò percettibilmente fermo agli anni Settanta.
Un tessuto sonoro quello di FREIHEIT/EXTASIS, di cui inoltre ne è stata ostica l’individuazione di una relazione complementare/oppositiva con quella Beethoviana (secondo atto), la cui qualità sonora della registrazione è stata al di sotto delle aspettative sviluppando una percezione sonora poco definita e compromettendo, oltremodo, l’esperienza complessiva della pièce. Così, quel capolavoro musicale, che Wagner definì “l’apoteosi della danza” non trova purtroppo coesione dialogica con il tessuto strettamente performativo, lasciando inespressi quegli interrogativi che l’artista intendeva esplorare. Che forse non sia stata la giusta chiave di lettura? Forse un diverso approccio alla produzione sonora potrebbe offrire una chiave di lettura più adeguata, permettendo così alla musica di dialogare con la danza in modo coeso e significativo. Quindi, come possiamo riconsiderare e rielaborare le connessioni tra le diverse forme d’arte per onorare veramente le intenzioni artistiche e raggiungere una sintesi che parli al pubblico contemporaneo?
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Beethoven 7. Concept e coreografia, Sasha Waltz. Musiche, Ludwig Van Beethoven e Diego Noguera (live). Costume design, Bernd Skodzig e Federico Polucci. Light Design, Martin Hauk e Jörg Bittner. Drammaturgia, Jochen Sandig e Christopher Drum. Interpreti, Rosa Dicuonzo, Edivaldo Ernesto, Yuya Fijinami, Thian Gao, Eva Georgitsopoulou, Hwanhee Hwang, Sara Koluchovà, Annapaola Leso, Jann Männima, Sean Nederlof, Virgin Poudziunas, Sasa Queliz, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodriguez. Assistenza, regia e produzione, Steffen Dörring. Tour Management, Karsten Liske. Direzione tecnica, Reinhard Wizisla. Assistenza Direzione Tecnica, Moritz Hauptvogel. Assistance Light, Olaf Danilsen. Sound, Carlo Grippa. Assistenza direzione Costumi, Nadja Herklotz. Wardrobe, Manja Beneke. Capelli/trucco, Kati Heimann. Direttore finanziario, Stephan E. Schmidt. Direzione generale/Direzione, Sasha Waltz, Jochen Sandig, Bärbel Kern, Reinahrd Wizisla. Romaeuropa Festival 2024. 13 e 14 settembre, Auditorium della Conciliazione.
Immagine di copertina: ©Cosimo Trimboli