Il doloroso percorso di formazione dell’intima identità del giovane protagonista, che, in un campeggio marittimo, nell’ultima estate del secolo scorso, scoprirà l’amara verità su ciò che circonda la sua vita.
di Andrea Fioravanti (Saggista e critico)
Ruggine al sole di David Laurenzi, edito nella collana Gli oltre di FVE Editore, è un romanzo breve che solo per opportunità d’analisi possiamo inizialmente accostare al genere letterario del romanzo di formazione. Il protagonista ha dodici anni, con sua madre sta trascorrendo ciò che rimane dell’estate in un noioso camping sul mare. Il racconto è fatto in prima persona dal ragazzo, che immediatamente rivela l’anno della vicenda attraverso il riferimento ad un vecchio telefilm di fantascienza Spazio 1999. Lui trascorre le giornate in una vecchia roulotte che mostra i suoi anni dalla ruggine al sole indicata dal titolo. Quando esce indossa rigorosamente il suo cappellino rosso a cui è morbosamente legato; il padre sembra averlo dimenticato e questo è l’ultimo regalo del genitore prima di lasciarlo in vacanza con una madre intenta solo a mantenere la sua abbronzatura. Un romanzo di formazione a tutti gli effetti, con le caratteristiche tipiche del genere come le difficoltà familiari, il percorso di crescita, un narratore interno che approfondisce gli stati d’animo. Eppure non tutto è così chiaro ed evidente, esattamente come la storia che si racconta.
L’autore, che dal 2012 cura il foglio d’arte poetico Flusso, si è già cimentato con il testo narrativo. Nel 2019 esce per Scatole Parlanti il suo primo romanzo breve Dinamica di un incendio. Il racconto, infuocato come lo sviluppo della combustione che descrive, è un disturbante noir di provincia, in cui una insospettabile dark lady, dotata di spietato cinismo e seducente morbosità, innesca il canonico triangolo sentimentale che brucia il destino dei protagonisti. Anche in Ruggine al sole, David Laurenzi si appoggia ad un genere riconoscibile per poi tradirlo e superarlo verso qualcosa di più intenso. Anzi, a differenza del noir, rispolvera un genere letterario quasi totalmente in disarmo nel panorama della letteratura, ormai ad uso e consumo dei best sellers internazionali dal contesto fantasy o della serialità su piattaforma dal target già previsto. Ruggine al sole racconta del doloroso percorso di formazione del protagonista attraverso le difficolta della crescita e le dinamiche familiari, ma lo fa muovendosi sul crinale di una luce introspettiva dettagliata, quasi accecante, ai cui lati, però, regna l’abisso delle pulsioni con l’inspiegabile fascino che questa oscurità esercita sul lettore. In un anonimo campeggio marittimo, quando gli ultimi giorni della bella stagione sono afosi e umidi, con la noia e il silenzio (com’era l’estate qualche tempo fa, noiosa e poco rumorosa) che danno vita a pensieri involontari e ossessivi, osserviamo con gli occhi del dodicenne un mistero familiare che lui a malapena intuisce.
Il romanzo è scandito in giornate di ricognizione attorno alla roulotte dove si sono sistemati madre e figlio per trascorrere questa vacanza. Il protagonista passa il tempo in lunghe perlustrazioni dello spazio attorno, procede come un esploratore, sorta di cartografo alla scoperta del territorio. Poi ci sono i dialoghi e gli scontri con la mamma, il complesso rapporto con i coetanei che sfida con incoscienza, le prove di resistenza passate al buio della notte nei bagni del camping. La madre del protagonista si comporta in modo cordiale e accogliente con gli altri villeggianti ma nei confronti del fanciullo resta in bilico tra complicità e disapprovazione; soprattutto, teme che le suggestioni paterne possano contagiarlo. I fatti e la storia rivelano poco. È il filtro dell’autore/narratore che li racconta il reale motivo d’interesse di Ruggine al sole. Quel fascino perturbante di un soggetto che va costruendosi ma è ancora lontano dall’essere strutturato e che procede senza i legacci morali o razionali del mondo adulto. La vivacità dell’universo interno fa da contraltare alla realtà esterna, assolata e immobile, quadri di natura quasi metafisica, sorta di sospensioni percorse da visioni sulle quali si muovono personaggi sfuggenti. Come nella pittura di De Chirico tutto è apparentemente illuminato a picco dalla luce del giorno ma niente appare chiaro davvero. Un ricorso ai meccanismi allusivi della poesia che cattura chi legge facendogli sentire tutto, senza davvero rivelargli nulla. Ma è bene evitare fraintendimenti.
Il romanzo di Laurenzi non è una immersione nella diluita e problematica soggettività del protagonista. La prosa è semplice e lirica al tempo stesso, ed il ricorso ad una elegia malinconica e disturbante rende ancora più concreta la vicenda. Siamo lontani spazi siderali dalla melassa improbabile che la letteratura spaccia come universo segreto dei fanciulli. Il protagonista e con esso il lettore, diventano preda di maligno incantesimo: ombre, visioni, rumori, odori, percezioni, questo è il materiale fluido della scrittura di David Laurenzi. Tante le descrizioni, che rendono con vivezza ogni particolare della vicenda narrata. La forza contraddittoria del libro è questa: si tratta di una vicenda quasi tutta interiore ma che parte da cose concretissime. Le prime pagine del romanzo, sono piene di oggetti, di cose, utensili, insetti, strumenti, indumenti a partire dal cappellino rosso. Il riferimento dunque non può che andare a Thomas Stearns Eliot e al concetto tanto caro a Eugenio Montale di “correlativo oggettivo”: un insieme di oggetti, una situazione, una catena di eventi che rappresenta la formula di quella particolare emozione. Ma in fondo sin dal titolo, questo romanzo breve, richiama un disagio distante ed invisibile. Come gli ossi di seppia del poeta ligure, la ruggine al sole dei camper sull’assolata spianata del campeggio è un correlativo oggettivo che evoca fastidiose sensazioni, quasi disagio, tossiche macerie abbandonate senza più possibilità di futuro.
L’epilogo descritto dalle ultime pagine è coerente al racconto. Il finale non è quel che si dice un finale aperto, anzi, la vicenda si chiude esattamente come poteva prevedere il lettore. Il sapore malinconico di quei titoli di giornale, tristi come solo possono essere le notizie di cronaca del passato, rappresenta bene la condizione di isolamento e l’apparente mancanza di senso che accompagnano certi decisivi passaggi della crescita, quando la vita è un terreno di avventura esotico e misterioso anche se si tratta di un banale campo di alloggiamenti che affaccia sul mare alla fine del secolo scorso, a cavallo tra un’epoca che non c’è più ed una che stenta ancora ad arrivare.