Con Gabriele Lavia, in scena al Teatro Argentina di Roma, una tragedia senza tempo, uno spunto di riflessione per i giorni attuali
Un telo grigio ricopre il palcoscenico, estendendosi fino alla prima fila della platea, come un confine sfumato tra la scena e la vita degli spettatori. La scena si presenta aperta, come un teatro consumato dal tempo: vecchi bauli, un pianoforte scordato in un angolo, e quinte pendenti dal tetto, storte e precarie, proprio come la vita umana. Gli attori entrano e si vestono direttamente in scena, indossando semplicemente un mantello estratto dai bauli, che definisce il loro tempo e status. Poi entra lui: Re Lear, interpretato da Gabriele Lavia. Regale, imponente, autoritario e burbero. Lear decide di rinunciare al suo ruolo di re, donando tutto alle figlie. Abbandona l’“essere” per diventare “non essere”.
Da questa rinuncia inizia il suo declino: scopre di essere soltanto Lear, un uomo, nessuno, il nulla. Il dramma è accompagnato dal rumore della tempesta, rappresentata in modo credibile grazie a suoni, luci ed effetti di vento, magistralmente coordinati. A tratti, il temporale si fa più intenso, sottolineando i momenti di maggiore angoscia del protagonista; in altri, si limita a tuoni e rumori sommessi, generando un’ansia costante. Come un vero temporale, nessuno sa fino a che punto si scatenerà. La tempesta, come afferma lo stesso Lavia, simboleggia “la tempesta della mente dell’umanità”, la fine dell’uomo che ha rinunciato al suo “essere”. Sul palcoscenico si consuma la tragedia umana: il desiderio di potere annebbia le menti, travia le intenzioni e genera drammi irreparabili. Tradimenti, omicidi e suicidi riflettono le conseguenze dell’abbandono dell’“essere” per il “non essere”. Non solo Lear sceglie di non essere più re, ma anche le sue figlie maggiori, interpretate da Federica di Martino e Silvia Siravo, smettono di essere figlie. Il potere concesso loro dal padre le allontana dalla loro identità originaria. Lo stesso vale per Edgar – Giuseppe Benvegna – ed Edmund – Ian Gualdani – figli del Conte Gloucester – Luca Lazzareschi. Come le figlie di Lear, i due fratelli si sfidano e si tradiscono, contendendosi il potere. L’eredità mette i familiari uno contro l’altro, portando a una distruzione reciproca. Nessuno vince: tutti muoiono. Chi assassinato, chi tradito, chi suicida o consunto dal dolore, chi muore nell’anima. Questo è l’effetto del potere cieco: porta l’umanità al “non essere”. La storia di Re Lear è attuale in ogni epoca: gli uomini, accecati dalla tempesta della loro mente e dalla corruzione del potere, ripetono gli stessi errori.
Eppure, c’è una speranza nei giovani: nella scena finale, Edgar annuncia che in futuro i giovani eviteranno gli sbagli dei padri, avendo imparato dalle loro vite spezzate. È un finale estremamente commovente: il pubblico, in silenzio, trattiene i singhiozzi mentre la tragedia di Re Lear si conclude. Simbolo della storia umana, la vicenda mostra come il sogno di potenza dell’uomo si infranga inesorabilmente nella nullità. In questa rappresentazione, tutto ruota attorno alla centralità della recitazione. Scene e costumi sono essenziali, ma è l’interpretazione degli attori a dare vita allo spettacolo, rendendolo dinamico e di grande impatto emotivo. I movimenti scenici, il controllo del corpo e l’espressività di tutti gli interpreti rendono il dramma vivido e credibile. Gabriele Lavia, nonostante l’età, continua a dominare il palcoscenico, padroneggiando il corpo come strumento di linguaggio artistico ed espressivo. Ogni gesto e movimento degli attori diventa un linguaggio perfetto che sostiene battute ed emozioni. È questa qualità interpretativa a distinguere gli spettacoli di Lavia, rendendoli un’esperienza indimenticabile e profondamente toccante.
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Re Lear di William Shakespeare – Regia Gabriele Lavia – Traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari – Interpret:i Gabriele Lavia, Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Federica di Martino, Silvia Siravo, Eleonora Bernazza, Giuseppe Benvegna, Ian Gualdani, Jacopo Venturiero, Giovanni Arezzo, Beatrice Ceccherini, Gianluca Scaccia, Jacopo Carta, Lorenzo Volpe.- Scene Alessandro Camera – costumi Andrea Viotti – luci Giuseppe Filipponio – Musiche Antonio di Pofi – suono Riccardo Benassi – Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera Srl, LAC Lugano Arte e Cultura – Teatro Argentina di Roma dal 26 novembre al 22 dicembre 2024
Foto di scena ©Tommaso Le Pera