“Rapsodia in blue”, opera prima di Maria Carolina Salomé

Finestre come varchi di mondi paralleli, di destini eventuali, mai accaduti; è con il naso schiacciato contro la vetrata, che la protagonista immagina gli spazi condizionali, potenzialmente in grado di cambiare il suo percorso.

Proiettato alla rassegna Nuovo Cinemalbar il 1 Luglio, Rapsodia in Blue di Maria Carolina Salomè, è stato vincitore come Miglior Cortometraggio Straniero alla decima edizione del Lady Filmmakers Festival di Beverly Hills.

Se rapsodica è la vita stessa nella sua casualità variegata, inattesa, altrettanto lo è l’incontro tra i due protagonisti (Giulia Carpaneto Daste, Luigi Tuccillo), reduci di una storia passata e nuovamente vicini dopo anni di silenzio.

Compiendo un salto in avanti l’opera proietta il personaggio, allora bambina, nel tempo presente: inquadrati in una successione di primissimi piani gli oggetti suggeriscono l’intimità di una cena, la possibilità di un ritorno: ogni scelta, potrebbe ribaltare il corso dell’esistenza.

Per far sì che le cose cambino, bisogna passare per decisioni forti- tutto nell’interazione tra i due lascerebbe intendere il riaccendersi di un fuoco, l’approdo sperato ad una reale consapevolezza, l’acquisizione dei passati errori, eppure un velo di ambiguità sembra veicolare i loro sguardi come se ancora una volta non riuscissero a riconoscersi in un comune linguaggio.

In un processo di apertura, dove il racconto sembra procedere di pari passo con la successione di immagini volutamente teatrali, si insinua il fraintendimento, quello di una coppia che agisce su presupposti diversi, che si approccia all’accadimento in modo dissonante.

Alle spalle della donna una tela bianca, diviene un monologo il racconto, quello di episodio decisivo dinanzi al quale l’uomo sembra assistere in silenzioso ascolto; quello che si presenterebbe come preludio di un ricongiungimento, si sfalda: il contesto si fa ambiguo, ogni oggetto sembra fuori posto.

In una struttura che tende ad articolarsi su tempi lunghi, si forma una nebulosa che impedisce talvolta l’immediata comprensione di tutti i passaggi, sembra l’opera traslare sul pubblico la stessa esitazione incarnata dai personaggi, per poi offrire solo sul finale la risposta all’ambivalenza dei caratteri.