Racconto d’inverno al Globe Theatre: la foschia che deforma il reale

Aleggia, fin dalla scena di apertura, la foschia che caratterizzerà gli eventi di Racconto d’inverno di William Shakespeare, in scena al Gigi Proietti Globe Theatre per la regia di Valentino Villa.

Apparentemente simmetrica, l’architettura scenica si apre nel mezzo di un silenzio assordante, suggeritore però di una dimensione altra che valica e parallelamente si accompagna a quella del reale.

Dominata da un’aura di ambiguità tanto percepita quanto indistinta, la scena d’esordio sembra dislocarsi in tre micro-spazi: se da un lato Mammilius, figlio di Leonte, gioca silenziosamente con la sua balia, dall’altro la regina di Sicilia indirizza le sue premure a Polissene, re di Boemia, amico del marito.

Quasi nascosto, lo sguardo di Leonte sembra muoversi nell’ombra: vestito con abiti da giardiniere, la sua presenza appare piuttosto simile a quella di un’osservatore meticoloso ed attento nei cui occhi si accende lentamente la spia del sospetto.

La gelosia di Leonte come primo motore narrativo in “Raccconto D’Inverno”

Appena accennata, la gelosia del re dilagherà a tal punto da porsi come motore cruciale dell’intera rappresentazione, creatrice di una realtà parallela e deformata e detonatrice di rovina.

Nel rivolgersi a Camillo (Vincenzo Grassi), suo fedele servitore, all’apice della sua disperazione, il re esclamerà infatti:

“ma mi credi così confuso, così pazzo, da imporre a me stesso questo tormento?”

Magistralmente interpretato da Eros Pascale, il personaggio di Leonte è oggetto di mutazione progressiva nell’intero arco narrativo: impercettibile appare infatti il passaggio dal balbuziente timore iniziale alla rabbia efferata che sarà innesto di morte.

Parlando di sé in seconda persona, il re stesso lascia trapelare la dissociazione d’intenti che lo affligge e che si pone all’origine del suo offuscamento.

La follia distrugge la tempra del re, per poi divenire innesto delle sue decisioni: sebbene esortato da Paulina ( Ilaria Martinelli), personaggio centrale nella storia, il sovrano non resiste alle voci che assediano la sua mente.

Non soddisfatto di fronte alle tragiche morti della regina, ormai giudicata adultera, e di suo figlio, sceglierà di abbandonare sua figlia nella foresta ritenendola figlia del tradimento.

Racconto d’inverno: l’immensità spazio-temporale del late romance shakesperiano

Appartenente al gruppo dei late romance del Bardo, “Racconto d’inverno” ne rispecchia appieno la dimensione di immensità dello spazio e del tempo, calcando senza riserve la componente nebbiosa e speculare della realtà che ne scaturisce.

Anche l’imponente scenografia nasconde elementi che sembrano suggerire l’ambivalenza del reale: riflette infatti una realtà/scena distorta il materiale traslucido del fondale che funge da varco per l’entrata e l’uscita dei personaggi.

Se all’ inizio della rappresentazione, l’idea del racconto è introdotta dalla richiesta dal giovane Mammilius, quando chiede alla balia di narrargli una storia, il suo richiamo si ripresenta più volte nell’arco narrativo.

Sarà infatti la voce cavernosa di un narratore fuoricampo, personificazione del tempo, che a metà della rappresentazione dichiarerà:

“Con la vostra pazienza, capovolgo la mia clessidra”

Sebbene si presenti sotto forma di personificazione, la presenza del narratore sembra esortare il pubblico sulla natura di ciò che vede: un racconto dove labile è il limite tra realtà e distorsione ma dove la dimensione stessa del racconto suggerisce una “realtà non del tutto reale”.

Racconto d’inverno: i due tempi e le due dimensioni della storia

Suddivisa in due tempi dall’intervento del narratore la storia subisce a metà, un completo ribaltamento.

Laddove fino a quel momento la scena era dominata dall’angoscia, dal tormento e dalla morte interiore ed esteriore, a partire da quell’interruzione, muta del tutto i suoi connotati.

Subentra infatti a partire da allora un’ inattesa componente festosa dai tratti surreali, collocata a sua volta in un contesto pastorale.

Spostandosi dalla Corte di Sicilia a quella di Boemia, e poi ancora in campagna in occasione della festa della tosatura, la narrazione si articola ora sugli elementi della maschera e del travestimento.

Se infatti nella fase precedente, il mascheramento aveva luogo unicamente nella psiche del re di Sicilia, ora si esterna diventando funzionale alla storia.

Accompagnato infatti dal vecchio servitore Camillo, ormai al suo servizio, Il re di Boemia si reca sotto mentite spoglie in campagna per controllare le peripezie amorose del figlio.

Sarà proprio la festa l’occasione per l’ultimo disvelamento, quello della vera natura di Perdita ( Vanda Colecchia), che sancirà la risoluzione finale.

In una rappresentazione in grado di rendere armoniche le dissonanze, i diversi elementi trovano la giusta collocazione grazie ad un cast d’eccezione (Eros Pascale, Anna Bisciari, Daniele Di Pietro, Vanda Colecchia, Vincenzo Grassi, Marco Selvatico, Giulia Sessich, Doriana Costanzo, Ilaria Martinelli, Marco Fanizzi, Lorenzo Ciambrelli, Alessio Del Mastro, Federico Fiocchetti e Domenico Pincer), alle suggestive scene di Francesco Ghisu e alle immaginifiche colonne sonore di Federico Mezzana.