Raccontami Shakespeare di Andrea Cioffi è un racconto denso di significati

In questo periodo prossimo alle riaperture delle sale teatrali e cinematografiche è ancora possibile godere della magia dello spettacolo attraverso lo schermo di casa con alcune iniziative teatrali che dimostrano la presenza dell’arte in Italia e il fatto che quest’ultima sia viva e attiva nonostante tutto.

Il Roma Fringe Festival per esempio è una di quelle iniziative culturali che ha resistito malgrado la pandemia ed è in corso in questi giorni piovosi di aprile a partire dall’11 e fino al 24 del mese.

Il 22 aprile, tra le proposte del Festival c’è stato il lavoro di Andrea Cioffi, Raccontami Shakespeare tratto dalla storia di Charles e Mary Lamb. In scena lo stesso Cioffi, che ha curato anche la regia, e Sara Guardascione.

Tutta la storia ruota intorno a un dialogo evocativo fra i due protagonisti, i fratelli Lamb appunto, lei bloccata in casa per una tara mentale e lui aspirante scrittore che cerca la rivalsa con lo spietato editore che continua a rifiutargli le opere.
Il dialogo è inframmezzato dalla narrazione, portata avanti ora da Charles ora da Mary, di alcuni tra i più famosi drammi shakespeariani e fin da subito il potere della narrazione viene identificato come salvifico, per entrambi, ma soprattutto per Mary che può, attraverso le storie, evadere da quella sua prigione che è la casa. I più celebri personaggi shakespeariani vivono così tramite la voce e i sentimenti dei due fratelli affettuosi e disperati, “diversi” da chiunque li circondi, e per questo vicini all’intimità di ciascuno di noi.

Il gusto gotico e a tratti crime della storia è ciò che rende interessante uno spettacolo altrimenti troppo epico e didascalico, per quanto evocativo.
Il testo è pregno di denunce che vanno dalla questione femminile al teatro alla letteratura e sono tutti concetti espressi da Mary, ufficialmente pazza ma acuta osservatrice della realtà e portatrice di verità. infatti è proprio Mary a pronunciare una frase chiave dello spettacolo: “sono folle in un mondo di matti”.

Un punto di svolta della narrazione avviene quando, dopo ben dieci anni, Mary può uscire di casa insieme a suo fratello per vedere Romeo e Giulietta a teatro e, rientrata a casa, è sgomenta per quanta pomposità ha trovato nella recitazione e nell’autocompiacimento degli interpreti. Nulla di strano se si pensa che proprio come il fool delle amate opere del Bardo, il suo personaggio è portatore di verità e con tutta l’onestà di cui è capace critica l’assenza di verità nella messa in scena, dall’inizio alla fine.
A conclusione di questa disamina sentenzia: “Non mi sentivo così sana di mente in un mondo di matti da tanto tempo” e poi ringrazia il fratello mettendosi a dormire.

Tutto questo ci porta, come spesso accade nell’arte, a porci le domande giuste: chi è matto davvero? Cosa vuol dire essere pazzi?

Da ciò un’ulteriore riflessione si pone dinnanzi allo spettatore, quella relativa alla questione femminile nel Novecento. Mary è pazza perché non vuole seguire la catena di montaggio, è pazza perché non vuole marito, è pazza perché vuole affermare nel mondo il proprio nome, da sola.

Il fratello per quanto amorevole è il tipico uomo comune, a tratti debole, e il loro rapporto per quanto fraterno è più simile a una competizione che ricorda la tormentata relazione fra Zelda e Scott Fitzgerald che ci porta a riflettere su un’altra questione spinosa: lo scrittore ruba molto da quanto osserva nella vita reale e spesso i personaggi che crea esistono perché c’è qualcuno nella vita reale che esiste e che li ha ispirati.
Si comprende come Mary sia tutto questo per Charles ma che senza il suo tocco lui non sa vedere le cose allo stesso modo.

Questa storia di follia viene narrata come una fiaba, alla fine la strega cattiva viene sconfitta e in qualche modo entrambi i protagonisti trovano una propria risoluzione. Resta una domanda finale importante: quanto è accaduto era nella mente di Mary?