Questioni di principio, di Branimir Liguori, indaga il conflitto tra autenticità e valori morali di due famiglie romane borghesi.
«Ma perché ridono?»
«Non si piange in pubblico».
Uno scambio di battute veloce e mordace tra due ragazzi, ma che in Questioni di principio, cortometraggio di Branimir Liguori, ne esprime il senso profondo. Due famiglie romane (interpretate con laconica espressività da Federico Scribani, Laura Piattella, Natalia Magni e Riccardo Festa) si ritrovano a dovere fare i conti con un supposto furto dei propri figli (Emma Casini e Lorenzo Bancale). Al di là del vero o non vero, del realmente accaduto o meno, il focus si concentra su un problema di valori morali: su quella borghesia del “mio figlio non farebbe mai una cosa del genere”, del “non è questa l’educazione ricevuta”, del “cosa ne penserà la gente?”. Infine, una cena proposta per ripristinare quel gioco di apparenze, che rischiava di essere svelato, durante la quale si traducono rapporti di bisbigli, silenzi assordanti e disponibilità finte. Non è un caso che i due figli restano all’esterno, preservando un’autenticità che ne denota finanche un certo scarto generazionale.

Emma Casini e Federico Scribani
Branimir Liguori, diciannovenne nonché giovanissima promessa del mondo della regia cinematografica, sceglie uno stile fortemente incisivo per il suo recente cortometraggio Questioni di principio, in rassegna al Believe Film Festival. Non si riveste di particolari trucchi del mestiere, eppure con saggi escamotage di sceneggiatura riesce con sublime semplicità – nei termini di una necessaria immediatezza – a restituire quell’importante dicotomia tra apparenza e autenticità. A questo proposito diventa interessante l’iter narrativo: all’inizio, ci si concentra negli spazi interni delle case di entrambe le famiglie – da un lato i genitori e dall’altro i figli imputati debitamente a distanza – due luoghi chiusi, dove al riparo del mondo hanno possibilità di spiegarsi le rispettive dinamiche familiari pur senza una reale presa di coscienza, bensì con un’inevitabilità latente; poi, una telefonata apparentemente riconciliatoria e una cena con cui ci si sposta, dunque, sullo scontro tra quegli interni e le relazioni esterne. Di conseguenza, il sistema ricade su sé stesso, come se si togliesse un velo, si tradiscono i fini posticci e gli intenti doppi.
Al netto di quell’incisività citata prima, la regia in Questioni di principio segue una dialettica degli spazi. Il nervo centrale del lavoro di Branimir Liguori si scopre nel momento in cui l’interno si relaziona con l’esterno nei termini di una dicotomia, generando un confronto anche abbastanza ovvio ma che non può non fare emergere una conseguenziale fatica. L’interno della casa – valido per entrambe le famiglie – è concepito come un luogo asettico, fatto di spazi ampi che denotano una certa mancanza di contatto, di calore, e colori vividi come a volere denotare una cura superficiale così pulita e ossessiva da risultare perfettamente impacchettata e pronta all’occorrenza. Se c’è pure una carta lasciata per distrazione fuori posto, viene subito rimessa in ordine. L’idea è quella di due famiglie che si muovono in due spazi incontaminati, due campane di vetro che mantengono al riparo. Eppure, il vetro, si sa, è talvolta un materiale fragile: la crepa, appunto, si inizia a disegnare con lo spazio opposto del ristorante, un esterno per forza abitato dall’altro. In realtà, anche quest’ultimo è scelto da una delle due famiglie ad hoc, come un posto tranquillo e silenzioso; ma il necessario interfacciarsi con una dimensione al di fuori del proprio accende la miccia di quel sistema, di quell’immobilità borghese che non può progredire e si ritorce contro di sé.

Riccardo Festa e Laura Piattella
Ma vi è ancora un altro spazio, che sembrerebbe soltanto accennato e che tuttavia condensa il senso in chiusura. Ovvero, lo spazio al di fuori del ristorante, dove si ritrovano i due figli, lontani dalle famiglie. Se ne stanno lì a guardare, scambiandosi quelle battute riportate all’inizio, innocenti-colpevoli, spettatori-vittime di quelle dinamiche in cui sono costretti. Allora, quell’esterno veramente tale è ciò che delimita la metafora di un furto come gesto di ribellione, come grido di un’autenticità sacrificata sull’altare delle convenzioni. Il gesto commesso, supposto ma effettivo, non viene approfondito né tantomeno discusso. La risonanza che propaga, al contrario, è quella del giudizio, della paura di nascondere un ammasso di polvere sotto a un tappeto. A questo punto, chi sono i veri “ladri”? I figli che avrebbero intascato soldi non loro, oppure i genitori che hanno tolto loro la possibilità di sbagliare, di essere liberi perché veri? Dunque, le Questioni di principio diventano proprie di quelle generazioni troppo spesso giudicate con sentenze approssimative, risolte poi con superficialità, chiedendo uno sguardo più profondo.
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Questioni di principio – diretto, scritto e montato da Branimir Liguori – con: Emma Casini, Federico Scribani, Laura Piattella, Lorenzo Bancale, Natalia Magni, Riccardo Festa – prodotto da Tommaso Paris – fotografia di Adriano Roidi – audio presa diretta di Luca Biasini – montatore audio: Francesco Valeau – aiuto regia: Elettra Perricone – scenografia: Sofia Capurso – costumi: Emma Pascucci – capo Elettricista: Sebastian Bolanos – musiche: Adriano Tullio ‘Kasp’ – edizione: Marta Minoni, Silvia Sabbatini – make up-artist: Sara Fior – hair Stylist: Francesco Scaramella – aiuto produzione: Flavia Canzoni, Manuel Pellegrini – catering: Pasticceria Veneziani, Manuel Pellegrini – fotografo di scena: Filippo Brando Macchi – per il Believe Film Festival, 24 ottobre 2025, Teatro Ristori.
Fonte immagini: Ufficio Stampa