«Sono stato fortunato nella vita ho fatto il lavoro che mi ha divertito».
Lo diceva Federico Fellini prima di lasciarci il 31 ottobre del 1993. Lui non aveva mai smesso di sognare. L’ultima intervista la feci a Hollywood con Vincenzo Mollica e Marilisa Trombetta loro inviati per il Tg1 e del Tg2 io per il Tg3, a seguire quell’edizione storica perché l’Accademy premiò Fellini con un Oscar alla carriera consegnatogli sul palcoscenico dell’allora Kodak Theatre, avvolto al suo arrivo dalla standing ovation del gotha del cinema mondiale, da Sophia Loren e Marcello Mastroianni.
«Fellini è come la cima dell’Everest, tutti gli altri sono a valle». Lo disse il premio Oscar Richard Attenborough, uno dei massimi autori del cinema inglese, commentando l’evento con Scorsese, De Niro, Luc Besson e tanti altri. Poi dopo un po’ a Roma il precipitare della malattia, il ricovero in ospedale assistito dalla moglie Giulietta Masina e dai suoi cari amici più che collaboratori Ennio e Mario Longardi.
Seguii per il Tg1 insieme a Paolo Frajese i funerali nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma. C’erano più di cinquemila persone, una folla di gente semplice, papà con i bambini a cavallo sulle spalle arrivati da tutti i quartieri di Roma, la sua Roma da lui tanto decantata non solo con i film. Su tutti La dolce vita. Si aveva la sensazione che vedessero in quella bara un italiano perbene, una persona cara, di cui ci si poteva fidare. Era un artista che abitava negli occhi della gente.
Ma la città “mamma”, come mi aveva detto in una lunga intervista che mi concesse alla vigilia di Natale del 1984, uno dei miei primi servizi per il Tg3 regionale realizzata camminando nei viali di Cinecittà fu un vero atto d’amore a Roma e ai romani.
Lo stesso Mollica quando realizzò con Alessandro Nicosia la Mostra su Fellini nelle sale del Vittoriale a piazza Venezia, la collocò fra i filmati perché quell’intervista «Una città che ti accoglie», disse ricordando il suo arrivo da Rimini. «Una città che ti aiuta e ti da da vivere come può. Una città dove le piazzette ed i vicoli del suo cuore, sembrano il proseguimento dei tinelli delle case dei romani quelli veri, quelli che dopo un po’ che ti conoscono danno del tu anche al Papa.»
Allora, anche in questo 31 di ottobre, il mio Fellini è fermo nel tempo, non solo con i suoi bellissimi film, ma nel cuore di chi come lui ha avuto la fortuna di vivere tanto tempo fa una Roma come quella. Grazie Maestro!