Quattro chiacchiere con Antonello Avallone, regista di “L’eroina del jazz”

Una storia, un racconto, una donna. Un momento molto particolare, storico. Parliamo dello spettacolo teatrale di Antonello Avallone, regista e interprete de L’eroina del jazz, testo di Francesco Ferrazzoli, in scena domenica 28 maggio ore 21.00, presso il teatro Marconi. E’ un momento particolare, quello raccontato, ambientato in un’atmosfera bellissima negli anni 50 a New York, nella 52ma strada. Un unico racconto, la donna in questione è una nobile, la baronessa Kathleen Annie Pannonica Rothschild, detta Nica, che “vive in un tempo sospeso”, il tempo dell’arte fatto all’epoca di mecenatismo, amore, compassione ed anche frustrazione. Un doppio senso, nel titolo; lei è un’eroina perchè ha sostenuto da mecenate, quei celebri musicisti ma c’è anche un’altra “eroina” che a quei tempi molti jazzisti utilizzavano.

Antonello Avallone abbraccia sul palcoscenico, in un linguaggio creativo ed emozionale, con il suo sguardo da regista, racconti, emozioni, attimi di vita di celebri musicisti, nomi del jazz quali Charlie Parker, Art Blakey, Miles Davis, Charles Mingus e Thelonious Monk. Un momento storico anche complesso, difficile, contrasti di un ‘900 nuovo fatto di musica, improvvisazione, contrasti razziali, diritti civili, eroina, boxe e riscatto del popolo nero; grandi temi sociali. Tre jazzisti molto bravi in scena, Simone Alessandrini, Andrea Saffirio e Ippolito Pingitore, rispettivamente sassofono, piano e batteria, accompagnano Avallone in una atmosfera intensa e suggestiva, sospesa, di altri tempi.

Abbiamo raggiunto e intervistato Antonello Avallone:

Antonello, lei è regista ed interprete dello spettacolo, come nasce l’idea creativa di portare in scena il testo? Qual è il suo ruolo, sul palco?
Ho conosciuto l’autore tramite un’amica comune. Ho letto il suo testo, mi è piaciuto, ho capito che avrei potuto raccontare qualcosa di nuovo, l’ho adattato in modo che mi calzasse nella maniera migliore e ora siamo pronti per andare in scena.

Protagonista, una donna: la baronessa Kathleen Annie Pannonica Rothschild detta Nicla. Chi era, come si muoveva nel suo tempo? Il mecenatismo era ancora molto importante per gli artisti e si praticava.
Vogliamo dire una matta ? Sì, l’arte spesso appartiene ai matti. Aveva sentito un pezzo di Thelonius Monk da un pianista, a New York. Decise di non tornare più a Parigi, di restare a New York, era il 1945. Volle conoscere Monk, di conseguenza quelli che suonavano con lui e rimase accanto a loro fino alla fine, sostenendoli in tutto e mantenendoli persino. Li accompagnava, assisteva ai concerti, correva a riscattare i loro strumenti quando li portavano al banco dei pegni…li ospitava e sfamava a casa sua. Una matta, come sono molti di noi che facciamo teatro, non ci fermiamo davanti a niente. La passione diventa una malattia.

Senza la musica di allora, non ci sarebbe quella di oggi, soprattutto il jazz dell’epoca, quale eredità lascia oggi come linguaggio? Erano forti i temi sociali, i contrasti razziali, il riscatto del popolo nero ed il ‘900 si apriva all’insegna di nuove attese:

I neri, all’epoca, avevano solo due modi per emergere, per contare qualcosa: suonare jazz o salire su di un ring. Un bianco non poteva suonare con i neri, un nero non poteva suonare con i bianchi. C’ era il grande Charles Mingus, un musicista creolo, che quando suonava con i neri i sindacati lo mandavano a suonare con i bianchi, quando suonava con i bianchi lo mandavano dai neri.

Il Jazz è nato come una mescolanza di culture, un intrecciarsi di caratteri esotici. È figlio dell’immigrazione, possiamo dire che potrebbe essere stato un primo piccolo passo verso la fine della segregazione razziale?

Non mi sento di poter parlare di “passo verso la fine della segregazione razziale”. Mi viene in mente che gli Stati Uniti hanno eletto un Presidente nero che in alcuni Stati non poteva salire sugli autobus. Noi nel testo parliamo di un ramo particolare del Jazz che è il Bebop, che era assolutamente frutto dei neri. Poi i bianchi, poco dopo, hanno copiato, trasformato in qualche modo e fatto loro inserendo i testi per appropriarsi dei diritti d’autore. Certo che da lì viene la musica degli ultimi 60/70 anni. Ma quella non era solo musica, era anche una forma di reazione, di rivoluzione che vede protagonisti geni neri che affermano la loro identità, precursori di forme di eversione politica, che sfoceranno nelle pantere nere, in Malcom X e Martin Luther King.

Lo spettacolo è fondamentalmente un percorso, un viaggio; dove (e come) viene trasportato lo spettatore?
Attraverso un racconto, una narrazione di eventi che accarezzano la vita o meglio, la particolarità dei personaggi principali come la baronessa Rothschild (l’Eroina del titolo), Miles Davis, Charlie Parker e lo stesso Theolonius.

Con quale linguaggio da esperto regista, Antonello, si muove sul palcoscenico insieme ai musicisti?
Sul palco sono da solo a raccontare o ad interpretare qualche personaggio, ma accanto a me ci sono tre bravissimi jazzisti che sottolineano i momenti più significativi, quelli più emozionanti e, insieme, tentiamo di trasmettere l’emozione che proviamo noi nel raccontare questa storia. Vorrei aggiungere che non è necessario amare il jazz per assistere allo spettacolo. Noi abbiamo estratto un pezzo di Storia, un insieme di eventi che accaddero sulla 52° strada, dove la vita di un musicista nero era molto difficile e quelli che arrivavano al successo spesso dovevano dividerlo con l’eroina.

L’Eroina del Jazz, Teatro Marconi