Trent’anni da Srebrenica: Mujčić, Labatut, Erpenbeck e Gospodinov, voci esplosive di memoria e denuncia
Sotto il cielo estivo di Roma, l’11 luglio, la terza serata di Letterature Festival ha trovato la sua voce nello scenario antico e vibrante dello Stadio Palatino. Diretta da Simona Cives, la serata è stata molto più di un evento culturale: si è trasformata in un’intensa esperienza collettiva di memoria, dedicata alla commemorazione di Goffredo Fofi, recentemente scomparso, e – soprattutto – al trentennale del genocidio di Srebrenica, quando durante quel tragico luglio del 1995, oltre ottomila uomini e ragazzi bosniaci furono uccisi dalle truppe del generale Ratko Mladić.

Dal palco, Cives ha aperto con parole cariche di gravità e partecipazione, subito seguite da un videomessaggio dell’Assessore alla Cultura Massimiliano Smeriglio. Il suo intervento – un atto d’accusa verso chi allora non reagì – ha inciso il tono della serata, spostando l’attenzione dal ricordo formale alla responsabilità collettiva.
E proprio questo senso di verità, di memoria che non si fa immagine ma sostanza, è stato amplificato dalla cornice stessa dell’evento. Lo Stadio Palatino, con le sue vestigia millenarie, non è solo uno spazio scenografico: è un organismo di pietra che ha visto imperi nascere e crollare, silenzi e sangue. È impossibile non riflettere, in quel contesto, sul fallito progetto del Ruinenwert, il “valore di rovina” ideato da Hitler e affidato all’architetto Albert Speer. L’idea era folle e rivelatrice: costruire edifici che, una volta in rovina, avrebbero dovuto evocare grandezza, come i resti dell’antica Roma. Ma quella rovina progettata, estetizzata, era una bugia di pietra, un tentativo di piegare il futuro a una narrazione mitologica del potere. Il Palatino, al contrario, non racconta il potere: racconta il tempo. La sua rovina è vera, non pensata per essere bella, ma rimasta perché vissuta. Così anche la serata del festival: non costruita per apparire commemorativa, ma nata per sentire davvero. La memoria vera, come le rovine vere, resiste perché porta ferite, non facciate.
Ad aprire la serata, la scrittrice Elvira Mujčić ha letto il suo inedito Un luogo sicuro. Nata in Jugoslavia nel 1980, migrata in Italia durante la guerra, Mujčić è oggi una delle voci più autentiche sul tema della memoria balcanica. La sua lettura — forte, personale, intensa — ha aperto un varco tra letteratura e trauma, rendendo tangibile la presenza del passato nel nostro presente.
L’intervento musicale dei Mokadelic, come sempre parte integrante della struttura narrativa del festival, ha agito da amplificatore emotivo. La batteria che “segnava il passo” evocava il ritmo di una marcia militare dopo la lettura di Mujčić, riportando il pubblico in un tempo interiore più che cronologico. Era come se la musica accompagnasse la memoria lungo una strada che non porta via, ma riporta dentro.
Benjamín Labatut, autore cileno di origini europee, ha portato sul palco il suo inedito Memorias de otro mundo. Con il suo stile ibrido, in bilico tra scienza e metafisica, Labatut ha saputo raccontare la fragilità dell’uomo moderno davanti alla complessità del reale. Le sue parole non sono state consolatorie, ma provocatorie: come se la memoria, per essere viva, dovesse far male.
L’autrice tedesca Jenny Erpenbeck, con Ho nung – Zeit – Speranza – Tempo, ha proseguito il percorso con una riflessione lirica sulla possibilità di resistere al tempo nonostante lo sfaldamento dell’identità e della fiducia. La sua voce, insieme dolce e ferma, ha restituito dignità al pensiero lento, alla speranza che cammina.
A chiudere la serata è stato Georgi Gospodinov, autore bulgaro fra i più letti d’Europa. Con Ritorni possibili e impossibili, Gospodinov ha tessuto una riflessione struggente sul concetto di ritorno: non solo alla patria, ma all’infanzia, alla memoria, a un sé perduto. In un mondo in cui si costruisce per dimenticare, la sua lettura è stata un atto poetico di resistenza.

La terza serata del Letterature Festival 2025 non ha cercato di essere “memorabile” nel senso spettacolare del termine. Ha scelto invece di essere autentica. Tra le rovine vere del Palatino e le ferite vere della Storia, ha creato un ponte di parole, musica e silenzi che ha coinvolto il pubblico in una commemorazione intensa, viva, vera. Come lo Stadio Palatino, questa serata non è stata costruita per diventare mito: lo è diventata perché ha saputo ricordare senza fingere.
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XXIV edizione di Letterature Festival Internazionale dal 8 al 19 luglio al Parco Archeologico del Colosseo–
In copertina – Elvira Mujčić – Foto di @Grazia Menna