Uscito lo scorso luglio “Glory Hole” di Romano Montesarchio esplora l’anima e l’angoscia esistenziale di un camorrista.
Tutto ha inizio dalla fuga, quella di Silvestro ( Francesco Di Leva ), camorrista arricchito con lo sversamento in Campania dei rifiuti provenienti da tutta Italia. Nella fuga è aiutato dal sacerdote Peppino ( Mario Pirrello ) suo fedele amico, la destinazione: un bunker sotterraneo dove il protagonista si nasconderà al fine di scappare da una vendetta mafiosa per un atto che ha commesso.
Ma come si scoprirà nel corso del film diretto da Romano Montesarchio, la fuga di Silvestro è più che altro una fuga da se stesso, dalla sua vita, dalle sue atrocità. Un percorso in cui il nostro protagonista desidera redenzione ma sa di non meritarla, vuole fuggire ma sa che non c’è fuga.
Il “glory hole”, ovvero il buco presente tra i divisori tramite il quale è possibile compiere atti sessuali, è si fisicamente presente sulla parete del fatiscente nascondiglio del camorrista ma non ha niente a che fare con la sua originale funzione. Tramite questo buco infatti il protagonista vede con turbamento se stesso, la sua vita e i suoi orrori.
Il glory hole non è più portatore di misterioso piacere bensì veicolo di angoscia, un buco nel muro che non fa altro che essere metafora del buco dell’anima del suo protagonista. Un uomo solo, alla ricerca di una salvezza che in realtà non vuole. Unico conforto pare essere la visita del sacerdote Peppino, simbolo di una religiosità a cui Silvestro disperatamente si aggrappa ma che non basta a renderlo libero.
Tutto appare inizialmente non chiaro, non si sa con esattezza il preciso atto che lo abbia portato a fuggire lì, ma la trama lentamente scava e mostra tramite flashback quel che realmente è accaduto, esattamente come il buco nel muro mostra con chiarezza l’orrore al suo protagonista.
Come Silvestro anche noi “respiriamo a fatica” all’interno dello spazio angusto del bunker per poi “prendere aria” durante i momenti di ricordo del protagonista. Girato in uno spazio chiuso e claustrofobico, Silvestro soffre e ha allucinazioni, i ricordi che lo perseguitano lo costringono a fronteggiarsi con la persona che più lo disgusta: se stesso. Un buco nell’ anima, che lentamente lo prosciuga e rende schiavo.
La fotografia, curata da Matteo Vieille Rivara, è fatta di ambienti scuri e fa empatizzare con lo stato del protagonista. Un uomo che non ha nulla di buono da offrire ma la cui sofferenza non lascia indifferenti.
Tutto è un richiamo al buco: dal glory hole presente sul muro ai sogni del suo protagonista, fino ad altri elementi della scenografia. Metafora costante del buco nero che sta divorando l’uomo.
Francesco Di Leva si destreggia con potenza in questo vortice di emozioni ed angoscia esistenziale senza fine; un uomo più che un camorrista messo di fronte ai suoi demoni e indifeso di fronte ad essi.
La musica, curata da Mario Tronco, si fa complice di questo meccanismo, aumentando la tensione insieme a scene ravvivate da colori decisi come il rosso e il verde.
Glory Hole è un thriller psicologico che nei suoi 95 minuti mostra una camorra vista secondo tutt’altra angolazione, una visione introspettiva e psicologica che ci mostra l’umanità in un mondo in cui si pensa che questa non esista. Un buco dell’anima senza possibilità di redenzione.
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Glory Hole, regia di Romano Montesarchio; sceneggiatura di Romano Montesarchio, Edgardo Pistone e Stefano Russo. Con Francesco Di Leva, Mario Pirrello, Roberto De Francesco, Mariacarla Casillo e Gaetano Di Vaio. Fotografia di Matteo Vieille Rivara; musica di Mario Tronco; scenografia di Massimiliano Forlenza; montaggio di Davide Franco. Produttore Gaetano Di Vaio, Giovanna Crispino e Dario Formisano. Produzione Bronx Film, Minerva Pictures, Eskimo, Rai Cinema e con il contributo del Ministero della Cultura.