Punirsi per resistere: allucinazioni tragiche

Una coppia che si inabissa

di Marco Buzzi Maresca

Opera meritoria, al Teatrosophia di Roma (8-10 dicembre 2023), la ripresa di Stitching, un testo di Anthony Neilson, andato in scena per la prima volta nel 2021, all’interno della rassegna Trend (Teatro Belli) dedicata alla promozione della drammaturgia britannica moderna.

Neilson (1967), scozzese, inedito in Italia, è un abile drammaturgo, che mischia più filoni della drammaturgia britannica ed in generale contemporanea. Riprende infatti la tradizione del teatro di conversazione ibridato alla leggerezza dell’assurdo ioneschiano (La cantatrice calva) e della commedia leggera. Ma tutto questo si intreccia in modo originale al filone dark, dagli arrabbiati a Sara Kane: linguaggio scurrile, sado maso, derive psichiatrico allucinatorie. Non a caso i suoi testi sono stati anche oggetto di censura. Il suo teatro, in patria vien catalogato come ‘In-yer-face’, per come violentemente ti ‘getta in faccia’ le cose, ma l’autore preferisce parlare per i propri testi di psico-assurdismo, di teatro esperienziale.

Il titolo Stitching – letteralmente ‘cucitura’ – sottintende lo sforzo riparatorio, e tutto il testo vive di questa tensione, della patetica volontà di non consentire lo strappo in una coppia che si tende.

Prima comicamente ed in modo ripetitivo (alla Ionesco)  nell’assurdo delle perplessità e micro psico dinamiche di coppia, nella sfarinatura del quotidiano e della routine.

Poi sempre più tragicamente ed allucinatoriamente di fronte ad una deriva tragica.

C’è tuttavia anche un’altra cucitura, dove il cucire però diventa strutturalmente ferita, e non risanamento. Il testo procede infatti su due linee parallele. 

Si alternano infatti i banali e comici bisticci nevrotici della coppia normale, ed un’altra coppia provocatoriamente sado maso, dove una studentessa che si prostituisce, un po’ dirige ed un po’ è diretta dal suo cliente.

Per un po’ il pubblico (o il lettore fluttuano). Poi cresce il sospetto che le due coppie siano la stessa coppia, fino a che si capisce quale senso tragico leghi i due scenari. Ma quando la cucitura avviene nella testa del pubblico, la cucitura esplode in ferita e delirio, in scucitura e strappo. Uno strappo alla cui base sta la negazione del lutto.

In sintesi. All’inizio discutono nevroticamente su cosa li unisce o separa, ma già si insinua il reagente della deriva tragica. Lei è incinta. Lui ? Lo vuole o no questo figlio ? Un po’ sì, un po’ no. Lui sembra un po’ un pigro maschio tradizionale. Lei un po’ modernamente isterico persecutoria. Entrambi sono perennemente indecisi, e delegano all’altro la definizione di quello che sentono. 

La moderna, o forse eterna, inconsistenza della coppia. E alla fine sembra che lei, di fronte alla indecisione di lui come possibile padre, decida di lasciarlo.

Nelle controscena sado maso invece emergono sempre più un senso autopunitivo di lei, ed una stanchezza di lui a recitare la parte del maschio sado direttivo. 

“Il rossetto dovrebbe essere rosso fuoco, perché è la tua vagina […] gli uomini vogliono labbra umide, splendenti, rosso fuoco […] E lo spogliarello deve essere fatto lentamente,  […] quando ti togli le mutandine, devi farlo di spalle con la schiena incurvata, così il culo sporge e punta verso di me”

Sempre più oscilla tra questa direttività spavalda e provocatoria e smarrimenti succubi e pensosi, alternati a momenti di violenza isterica, come quando, di fronte ad una ribellione di lei, urla e le stringe violentemente la faccia con la mano (un momento intenso questo, attorialmente, di entrambi), salvo provocare che lei gli chieda masochisticamente di rifarlo.

Più è chiara la reciproca debolezza e dipendenza, più entrambi alzano disperatamente i toni. Perché come capiremo tra poco, si tratta disperatamente di tentare di ricucire una ferita abissale, immedicabile. Lui comincia allora a provocarla con foto di sesso osceno – pompini ai cavalli, bottiglie nel culo, mangiare la merda dal culo di un’altra donna. Finché arriva un alzo tiro che lei sembra non reggere  

LEI – “E’ così che passi il tempo, allora? Scarichi foto di donne che si stanno mutilando

          […] Perché me l’hai fatta vedere? E’ questo che ti eccita? 

          Una donna che si cuce la figa?”

LUI – “La prima volta che sono venuto, sai che stavo guardando? Un libro su 

           Auschwitz. Tutte quelle donne nude in fila, che aspettavano di entrare in una 

           camera a gas. Ricordo che pensavo a come ce l’avevano pelosa, la figa.

Cucirsi la figa. Violento ed arcaico. Ma alla fine acquisterà un tragico significato simbolico. Uno potrebbe vederlo come negazione del rapporto. Ma non si tratta di questo. 

LUI – “Voglio depilarti la figa […] Per vederti meglio la clitoride”

LEI – “Pensi che ti faccio avvicinare alla figa con un rasoio?”

LUI – “Credi che ti farei del male?”

LEI – “Ma a me piacerebbe che mi facessi male”

 «Mi piacerebbe insieme a te far del male a qualcuno […] rapire un bambino e scoparcelo e poi bruciarlo e ammazzarlo».

Siamo a Lady Macbeth in chiave sessuomaniacale. Ma non ci si illuda. Non è il sogno compensatorio di una coppia inibita, il doppio inconscio del banale conflitto quotidiano. Intanto lui sempre più in crisi, comincia a rivelare l’arcano 

«Sono stufo di giocare con le tue stupide fantasie. Sono stufo di fingere che non provo niente per te, quando non è vero. Sono stufo di fingere che quel che è successo non – è successo».

Cosa è successo ?

LUI – “E’ l’ora di Daniel, adesso”

LEI – “Lui è qui ? Pensavo che fosse morto … l’abbiamo fatto cadere.

LUI – “No, no, è stato tutto uno sbaglio. Ora sta bene. 

           Ora che è tutto risolto – tutto ricucito, lui può rimanere. 

           Lo possiamo fare, giusto?”

Un figlio lo hanno fatto dunque, ma poi è morto, forse per colpa loro.

Ma è morto nella realtà ? 

O è la metafora del figlio mai nato che ha ucciso la coppia.

Difficile dire. 

LEI – “Allora è finita, no? Non c’è più niente da dire.Non voglio essere 

          una ragazza madre. E proprio non mi andrebbe di farlo adottare.

          Quindi no – non lo terrò”

Ma anche, nelle controscene dark allucinatorie

LEI – “La sola cosa che rimpiango più di questa, è l’aver ucciso Daniel”

LUI – “Mica l’abbiamo ucciso”

LEI – “Ma non l’abbiamo salvato, no? 

           Eravamo troppo occupati a litigare per sentirlo morire”

LUI – “I bambini cadono”

Comunque la tragedia esplode alla fine in modo allucinatorio.

I due – e questa è una piccola caduta realistico esplicativa nel testo – ad un certo punto si dicono che la morte del figlio (Daniel) non ha spezzato la coppia come credevano. Fare il gioco puttana-cliente doveva aiutare a superare il  dramma 

(Ma come ? Non lo spiega), ma ora devono andare avanti. Non possono essere quello che non sono, né quello che erano.

Tutto risolto ? Catarsi e razionalizzazione ? Superamento del lutto ?

Forse per lui. 

Ma per la donna è diverso, e alla luce di quanto ora si rivela, viene da chiedersi se il figlio sia nato, e poi morto in un incidente, o se addirittura il lutto simbolicamente non sia legato ad un aborto spontaneo.

Continuo e crescente infatti è lo slittamento tra quotidiano e simbolico. 

LEI – “Così Daniel può rimanere; come dicevi tu, in sogno […] Ecco perché l’ho fatto.

           (lei indica la sua vagina). Vuoi vedere? Dai solo un’occhiata 

           (lei si alza la gonna) Toccala”  (lui ritira le dita insanguinate)

          Tutto ricucito, come nuovo. Così Daniel può rimanere”

Cucire lo strappo della morte, tenere il bambino nella onnipotenza del mai nascere.

Forse chiudersi al mondo e al sesso.

Il terribile e delirante balugina. 

Ma il testo è circolare e sardonico, e si richiude ciclico su un eterno ricominciamento. Abbiamo dunque sognato. L’orrido si rivela e subito nasconde, per rifluire nel banale domestico. A voi decidere di veder o non voler vedere.

Voglio dire che non penso che è finita … tanta sofferenza e dolore … a che scopo? 

Se tutto finisce … quel dolore per niente. Non pensi che lo dovremmo avere, questo bambino? … su, andiamo avanti … i nostri genitori erano schizzati, invece noi siamo venuti fuori normali. Quindi vaffanculo, facciamolo.

Uno di loro dice ora che si è fatto buio, e nel buio i due, tenendosi per mano, avanzano verso il pubblico, guardandosi, e guardando lontano, verso il futuro.

Comunque, tra realtà, idealizzazione e delirio, tutti i fili si ricuciono nella tensione tragico patetica di questa coppia a trovare il senso di sé, a consistere.

La regia, come non poteva che essere, ha scelto di non gravare il testo di ulteriori pesi simbolici. E’ nuda, puramente recitativa. La scelta è semplicemente di distinguere i due piani della narrazione – con degli switch ciclici – in un fondo scena a piena luce, dove siedono al tavolo del discorso, e avanscena nella penombra, onirico, dove gli attori vanno sul tragico patetico perverso, con buona maestria di toni, e moderato uso del corpo, concentrando il vissuto interno prevalentemente nella voce.

L’insieme è d’effetto, e cresce col crescere delle spirali del testo, e dopo breve silenzio, alla fine, gli applausi fioccano.

Stitching, di Anthony Neilson – Regia Paolo Sassanelli – Con Lucia Bianchi e Davis Tagliaferro – Teatrosophia 8/10 dicembre 2023

Foto di copertina: Davis Tagliaferro e Lucia Bianchi