“Prima, donna”: Margaret Bourke- White, indomita pioniera

La osserviamo in bilico su un gargoyle al sessantunesimo piano di Chrysler Building quando, intenta a scattare una fotografia, fu ritratta da Oscar Graubner.

La riconosciamo, è Margaret Bourke- White, indomita pioniera nelle vertiginose fotografie industriali, nella fotografia aerea, nella documentazione della guerra e del suo termine.

Esposti in occasione della mostra “Prima, donna” di Margaret Bourke – White al Museo di Roma in Trastevere, i suoi scatti restituiscono la suggestione, l’intensità, l’orrore dei suoi sguardi. La Russia di Stalin, l’orrore di Buchenwald, l’India nella sua separazione con il Pakistan, le miniere del Sud Africa, tutto fu immortalato dalla sua macchina, ai suoi occhi.

“La bellezza delle macchine è grande come quella della natura, visto che in entrambi i casi la bellezza deriva dall’utilità”

Fu forse suo padre che, nel pronunciare questo, destò in Margaret la passione. L’inesauribile tenace volontà di documentare, di farsi testimone di paesaggi di vita e di morte.

Nel tentativo di dare un ordine alla vasta produzione della fotografa newyorkese, l’esposizione sceglie di articolarla in precise sezioni tematiche che ne risaltano il contesto e la periodizzazione.

E’ la suggestiva “Caporeparto in fabbrica” (1929) a descrivere nel fumoso gioco di contrasti, “L’incanto delle acciaierie”, le stesse su cui Margaret compiva vertiginose arrampicate per realizzare i suoi scatti. Sono i volti “dignitosi e profondi” di due bambini durante la grande siccità del 1934, a spiccare nell’ambito della sezione “Nella conca di polvere”.

Fu lì che nacque l’ispirazione per il libro “You have seen their faces” (1937) in seguito ad un reportage per la rivista “Fortune”.

Eppure un’altra rivista fu altrettanto importante nella vita dell’instancabile reporter, è infatti alla giovane e informale “Life” che è dedicata un’altra decisiva sezione di questo percorso di sguardi, per poi passare a quella dedicata agli “Sguardi sulla Russia”.

La Russia del piano quinquennale dei primi anni Trenta. La Russia in cui scattò il primo ritratto di Stalin.

Se “Sul fronte dimenticato” racconta il fronte italiano dopo l’entrata in guerra della Russia, la sezione “Nei campi” consegna un’ atroce e vivido documento del campo di concentramento di Buchenwald nel 1945.

Pile di corpi nudi senza vita, scheletri umani nella fornace, scheletri in vita di coloro che avevano atteso troppo a lungo la liberazione. Ma è proprio qui, nel colmo dell’orrore, che Margaret riesce a strappare un’immagine di bellezza: il calore, la forza espressiva di “Prigionieri riabbracciano gli amici nel campo di concentramento di Erla, finalmente aperto” (1945).

Non solo la Margaret che documenta, ma anche la Margaret documentata, così accade nella nella sezione “La mia misteriosa malattia”. Un morbo che iniziò in modo sommesso ma che ben presto colpì i centri motori del cervello.

Un morbo che lei descrisse come Idra inafferrabile dalle mille spire.

Ed ecco che il viaggio si conclude con altre due straordinarie sezioni fotografiche.

Se ne L’India di Gandhi, la suggestione giunge da “La via di Sheikh Memon” (1947), da “Provino a contatto, profughi musulmani in fuga dall’india” (1947), in Voci del sud bianco arriva dai colori di “Harlem Cafè” (1956).

E’ in quest’ultima tappa che possiamo osservare il prodotto del reportage a colori di  “Voices of the White South”, l’ennesimo quanto decisivo contributo di una donna e del suo coraggioso “restare in prima linea”.