Pop Art e Beat: la rivendicazione italiana a Vicenza

La mostra riscopre la Pop Art e la Beat Generation dell’Italia anni ‘60 e ‘70.

Un’immersione tra i colori, i materiali, i brani, le tecniche e le forme, tra le più diverse: un safari “artistico” dove si possono ammirare ed esplorare due movimenti lungo un’epoca ben precisa, che sta tutta nel nome e nel titolo, Pop/Beat. Italia 1960-1979. Liberi di sognare. Una mostra, aperta nel cuore vicentino presso la Basilica Palladiana fino al 30 giugno 2024, dove si va “a caccia” di opere rivoluzionarie, tutte italiane, per la prima volta esposte con un concept e un allestimento inedito.

Gino Marotta, Perugino amore mio, 1970, collezione privata, courtesy Galleria Erica, Ravenna

L’obiettivo è riportare a galla le rivoluzioni, le concezioni, le idee, lo spirito di quegli anni fatti propri e interpretati da una serie di artisti fondamentali. L’intento del curatore Roberto Floreani (anch’egli artista) sta nel proporre “una mostra viva, comprensibile, popolare, che riporti nella collettività la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni, attualizzando quella ‘Libertà di sognare’ che oggi può rivelarsi salvifica dopo le costrizioni del lockdown.” 

Cento opere, 35 artisti, testimonianze scritte e un sottofondo musicale costante (i brani italiani più rappresentativi dell’epoca) per consegnare al pubblico la Pop Art italiana, la poetica Beat e gli anni che li hanno accompagnati, facendo loro da sfondo storico e spunto ispirativo. Un percorso pop e popolare, colorato, multiforme e multidimensionale che sa di riscatto, emancipazione e sì, proprio quella parola che sta alla base di ogni proposta e dell’aria che si respirava a quel tempo e che, ancora oggi spesso ci viene a mancare: la liberazione.

Liberazione da modi d’essere e di agire, usi e costumi, dall’onnipresenza americana, dalla supremazia dei ricchi salotti borghesi; liberazione e affermazione della personale modalità di essere artista, di vivere e far vivere l’arte. Un sì chiaro ai tempi e alla personalità che vuole emergere e lasciare il suo segno.

Pop/Beat. Italia 1960-1979. Liberi di sognare si apre con le installazioni naturalistiche in poliuretano espanso, i “tappetti naturali” di Piero Gilardi, le opere scomposte e i collage quasi grotteschi di Enrico Baj, il manifesto strappato della bellissima Liz Taylor, in versione Cleopatra, di Mimmo Rotella e quel rosso dell’americano Gancia, il Ritratto di Paul Klee ripetuto a più riprese sullo stesso pannello di Bruno Di Bello. Fulcro della Pop Art italiana è, sicuramente, Mario Schifano e la sua attività espressiva, con Futurismo rivisitatoCamminareSulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno alla società, la serie di schermi televisivi (tra le sue grandi suggestioni)Qui il suo lavoro trova slancio ed evidenza ed è accompagnato da altre due figure emblematiche e importanti per lo sviluppo della corrente. Franco Angeli e i suoi particolari astrattismi (Half Dollar, per esempio), e Tano Festa. Il connubio tra la Scuola di Piazza del Popolo Roma (Schifano, Tano, Angeli…) e le esperienze vissute e interpretate da altri artisti a MilanoTorino e in diverse altre città, tra nord e sud Italia, sottolinea le diversità di approcci ma anche la volontà di individuare un unicum, una corrente potente, consapevole dei tempi caratterizzata da ricchezza e da spirito popolare, dall’interno, dal basso.

A colorare visivamente l’esposizione e le locandine a essa relativa, ci pensano le installazioni di Gino Marotta come Natura modulare (una foresta di alberi realizzata con l’utilizzo, al tempo, fuori dal comune del plexiglass) e la giraffa che si staglia nella stanza, di impatto perché rappresenta un elemento naturale attraverso un artificio, un materiale innovativo, costruito e manipolato dall’uomo. È l’epoca delle scoperte, del risveglio collettivo, delle sperimentazioni, della cultura di massa, il “miracolo economico”, precedenti agli anni di Piombo.

La narrazione pop prosegue, poi, con le opere di altrettante personalità emblematiche, che hanno fatto della loro personale visione artistica, un messaggio, un modo di sentire, una creazione fisica: Roberto BarniGianni BertiniAldo MondinoUmberto BignardiAlik CavaliereValerio AdamiPaolo Baratella, Mario CeroliLucio Del PezzoFernando De FilippiGiosetta FioroniRoberto MalquoriRenato MamborUmberto MarianiEmilio Tadini, Titina MaselliFabio MauriUgo NespoloPino PascaliSergio Lombardo, Sergio SarriGiangiacomo SpadariTino StefanoniCesare Tacchi, Concetto Pozzati.

Ognuno di essi porta un’esplorazione personale, un concetto tratta dalla realtà, una forma di protesta, di rifiuto, di riscatto, traendo ispirazione anche dal Futurismo italiano. La Pop Art italiana vuole dare voce ai conflitti, esaltare gli sviluppi, mettere in discussione, esternare e rivelare quei tempi precisi, in ottica libera e liberatoria. 

Ecco apparire, allora, le opere originali come i segnali stradali rivisitati, gli specchi in Cade ancora la Pioggia? di Concetto Pozzati, l’impegno collettivo e l’attenzione agli scenari politici in Lenin parla agli operai e ai soldati alla stazione di Finlandia a Pietroburgo di Fernando De Filippi o Gesto tipico: Krushov di Sergio Lombardo e le ampie narrazioni visive di Giangiacomo Spadari. E ancora, le sculture sofferenti di Alik CavaliereLibertà o Vento di Aldo Mondino, l’enorme cubo rosso che accoglie i visitatori di Lucio Del Pezzo, il trittico di Umberto Mariani, le geometrie di Giosetta Fioroni, l’essenzialità di Tino Stefanoni perché “meno elementi introduco nel quadro, maggiore intensità posso raggiungere” e la forza visiva, dirompente della Morte di Superman di Paolo Baratella, scomparso da poco più di un anno.

In Pop/Beat. Italia 1960-1979. Liberi di sognare c’è spazio, forse meno impattante, anche per la Beat Generation, dei (secondo la definizione di Gianni De Martino) “capelloni beat, randagi, agnelli, angeli fottuti” grazie all’esposizione di una serie di documenti, testi, raccolte, il video originale di “Affanculo” e l’approfondimento dell’Antigruppo siciliano fondato da Nat Scammacca. La Beat, in questo caso, risulta essere meno evidente e visivamente più a latere della Pop Art, poiché testimoniata dalle tracce scritte, documentali e dalla presenza della realtà siciliana a sottolineare la trasversalità e la ricchezza di sentimento, riflessione, voglia presenti in quest’epoca effervescente di moti culturali, artistici. Ciò che accomuna queste realtà collettive è quel “sentire comune”, individuato dal curatore Roberto Floreani, che le fa essere pienamente nazionali, capaci di riportare le istanze e il sentito popolare del nostro paese. Ognuno con le sue peculiarità ma in grado di comunicare le diverse sfaccettature territoriali e culturali: la voglia di essere liberi di sognare.

Sergio Lombardo, Gesto tipico: Krushov, 1962, collezione privata, courtesy Galleria Erica, Ravenna

Quel decennio si conclude, idealmente all’interno del percorso espositivo, con la visione di uno spezzone del Festival Internazionale dei Poeti tenutosi a Castelporziano, nel giugno 1979, momento topico ed evidente della “fine del sogno” pop per com’era stato vissuto fino a quel momento. 

Un tempo va incontro inevitabilmente al suo termine, è uno sviluppo che appartiene a tutte le epoche storiche. Attraverso questo mostra esplorativa, però, vengono rilanciati e rivendicati un pensiero e uno spunto attuali: mai dimenticare quella spinta, quell’anelito alla libertà, alla riconquista di una zona, anche se piccola, di scelta e di riflessione, di identità e consapevolezza. La Pop Art e la Beat Generation, nel loro accostamento così unitario, possono ancora parlare e insegnare alle generazioni di oggi e di domani.

Pop/Beat – Italia 1960-1979. Liberi di sognare

02/03/2024 – 30/06/2024 – Basilica Palladiana (Vicenza) – mostra prodotta da: Comune di Vicenza e Silvana Editoriale – curatore: Roberto Floreani – catalogo: edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca.

Immagine in evidenza/di copertina: Gino Marotta, Natura modulare, 1966, collezione privata, courtesy Galleria Erica, Ravenna, foto Marino Colucci