Che cos’e una star si chiede e ci spiega in un suo libro lo scrittore, saggista e critico cinematografico francese Serge Daney. Che cosa è una star? É un momento in cui la storia della settima arte sa di essere colpita da un cancro, dove la sola immagine è piatta. Ed ecco la star! Attori, attrici con un rilievo in più. Un peso e uno spazio proprio, insomma la star che ravviva di luce propria un mondo di finzione anche se neorealistica che si muove nello spazio utilizzando la profondità di campo come la rampa di lancio di un missile.
Ed ecco lo star system ad Hollywood: Mae West poi Charlie Chaplin, Greta Garbo, Marlen Dietrich, Lana Turner, Zsa Zsa Gabor, Joan Crawford, Olivia De Havilland, Fred Astaire, i giovani Clarke Gable e Errol Flynn e poi gli eroi degli anni ‘50 in poi, da Sinatra a George Clooney, Di Caprio eccetera, eccetera. Su tutti John Wayne. A Los Angeles esiste addirittura una statua di John Wayne.
Anche l’Italia aveva già le sue star: Assia Noris, Yvonne Sanson, Amedeo Nazzari, Francesca Bertini. Che ne sarebbe stato di quel capolavoro del Neorealismo del dopoguerra come “Roma città aperta” senza l’esplosiva Anna Magnani? E quante stars in Europa, da Jeanne Moreau a Catherine Deneuve da Marcello Mastroianni ad Alain Delon, Jean Paul Belmondo, Yves Montand, Fernandel Louis De Funes, Brigitte Bardot.
Il Comunismo e soprattutto il consumismo dello star-system. Lo aveva capito prima di tutto Andy Wharol , che usò le immagini di Marilyn Monroe, una delle icone di Hollywood sui barattoli niente di meno che della salsa di pomodoro della Campbell, diventando il simbolo dell’arte moderna o se volete della modernità dell’arte, come suggerisce sempre Serge Daney.
Un vero fenomeno in Europa e nel mondo fu il francese Jacques Tati. Vederlo in azione sullo schermo era come vedere una punteggiatura vivente che trasporta lo spettatore in un’immaginazione paradossale estremamente comica e surreale. Tati ha inventato il cinema, suono moderno del cinema. Non era solo un genio, era soprattutto un comico così come Chaplin o Totò che facevano ridere. Chi non ha ancora visto di Tati “Le vacanze del signor Hulot” approfitti di queste giornate di clausura e lo recuperi, perché se no avete perso qualcosa di davvero straordinario.
E a proposito di star la prima volta che lo vidi sullo schermo fu nel film che lo lanciò come grande divo “La vita è meravigliosa” di Frank Capra. Ma fra i tanti e fra i tantissimi film infatti quello di James Stewart che resta più degli altri nella memoria almeno per me è senz’altro “La finestra sul cortile” di Hitchcock. In quel film Stewart era affiancato da una giovanissima Grace Kelly sulla rampa di lancio per diventare anche lei una star. Nel film, James Stewart è un fotoreporter costretto a casa su una sedia a rotelle con una gamba ingessata nel suo appartamento in una calda estate a New York, che guardando, anzi spiando il cortile con il suo teleobiettivo della sua Laica, scopre un omicidio e il suo autore. Film quello del 1954 al quale seguirono subito tutta una serie di film sempre diretti da Hitchcock e sempre interpretati da Stewart come “Nodo alla gola”, “L’uomo che sapeva troppo”, “La donna che visse due volte”. Con lui nel film anche la bellissima Kim Novaka, altra star.
Ma uno degli episodi legati a James Stewart che mi hanno veramente colpito di più nella mia lunga carriera di giornalista, a parte l’incontro ravvicinato a Palm Springs in California di cui parlerò poi, è stato quando a Madrid a casa proprio di Lucia Bosé che abbiamo ricordato pochi giorni fa, mi fu svelato un episodio e un’ inedita figura dell’attore, quella di generale di brigata dell’aviazione americana decorato come pilota al valor militare, pilota bombardiere nella Seconda Guerra Mondiale e in Vietnam. E grazie al fatto che era generale di brigata, che riuscì a farsi accettare nel famoso hotel Ritz di Madrid, che dopo una furibonda lite tra il torero Miguel Dominguin ex marito di Lucia Bosè e la sua amante Ava Gardener altra star di Hollywood insieme a Rita Hayworth, la direzione dell’hotel aveva deciso di vietare l’ospitalità a qualunque attore o torero.
Che storie, che star e che film! Tuttavia non avevo mai avuto l’opportunità di incontrare Jim Stewart, fino a quando mi giunse in RAI l’invito ad andare a Palm Springs a pochi km da Los Angeles per la prima edizione di un importante rassegna cinematografica diretta allora da Felice Laudadio che avrebbe festeggiato gli 80 anni dell’attore alla presenza niente di meno che di Ginger Rogers, la famosa ballerina attrice partner di tanti film con Fred Astaire. Bene, telecamera accesa, tutti in tuxedo oppure smoking come volete chiamarlo preso regolarmente in affitto, in attesa sul red carpet dopo un lungo viaggio da Roma a Los Angeles e poi in auto fino a Palm Springs. Così il festeggiato arrivò accompagnato dalla moglie, dal fratello e da Ginger Rogers che seguiva il corteo su una carrozzella.
Così quando finalmente fra fotoreporter e telecamere riuscii ad avvicinarmi con il microfono, esordii con la solita domanda cretina e cioè “Buonasera e buon compleanno signor generale”. Mi guardò, mi regalò un magnifico sorriso e mi disse: “Il generale la ringrazia, le interessa per caso anche una parola del mio amico Jim Stewart l’attore?” Mi sentii così cretino ma così cretino che gli chiesi banalmente che cosa provava dopo tanti film, due Oscar e tantissimi successi a ricevere ancora un tributo così importante e lui mi disse: “Vede lei è italiano, il regalo più bello nella mia vita sono stati a parte Oscar, tutti i premi e tutte le soddisfazioni è stata tutte le volte che sono venuto in Italia con mia moglie. La prima volta fu durante la guerra. L’Italia è un paese straordinario e poi il vostro cinema, mamma mia che grande cinema”. Prima che me lo portassero via in sala dove era atteso per una cena in suo onore con tanto di torta, gli porgo sotto gli occhi una sua foto formato 18 x 24, un classico quello in bianco e nero pregandolo di autografarla con dedica. E lo fece. Quando si allontanò feci a tempo a fare una domanda a Ginger Rogers. La sera finalmente in albergo diedi un’occhiata alla fotografia autografata dove c’era scritto: a Jim Stewart, Jim Stewart. Avevo dimenticato di dirgli il mio nome.