L’Associazione Culturale Genta Rosselli, il 25 e il 26 marzo 2023 al Teatro Ecuba, via Placido Martini 7 (Balduina), a Roma, porterà in scena Poliphonia, due Atti unici di Maria Letizia Avato, con Tania Lettieri, Valentina Maselli e Simone Destrero. La Regia è di Marco Belocchi, le musiche dal vivo sono del Maestro Fabio Bianchini.
Si tratta di due Storie a sé stanti, la prima Poliphonia, interpretata da Valentina Maselli e Simone Destrero, la seconda La goccia, interpretata da Tania Lettieri e Simone Destrero.
Lo spettacolo è incentrato sulle vicissitudini vissute negli abissi e negli sdoppiamenti della mente, che seguono il filo comune del malessere di due donne, mentre cercano di affrontare i propri profondi disagi collegati ad eventi traumatici delle loro esistenze e che sfoceranno in azioni delittuose, conferendo alla rappresentazione un forte sapore di thriller.
Le vicende delle protagoniste, appassionate ed avvincenti, si srotolano evidenziando il moltiplicarsi delle personalità nell’Atto Poliphonia che titola lo spettacolo e il ribaltamento dei ruoli, nell’Atto La goccia. Le due donne si trovano in uno stato ai confini della ragione e sembrano sussurrare all’orecchio dello spettatore che nessuno è al riparo dal pericolo di “scivolare e perdersi” a causa di quegli smottamenti che prima o poi tutti ci troviamo a dover affrontare.
L ’autrice Maria Letizia Avato, nata e cresciuta a Roma, utilizza da sempre disegno, scrittura e fotografia per comunicare col mondo. Le tre espressioni artistiche si sono da sempre alternate senza una preferenza per l’una e per l’altra. Ha frequentato l’Accademia Nazionale di San Luca, appassionandosi in particolare al lavoro a china che non ha mai abbandonato. Ha iniziato a fare fotografie sin da quando si lavorava in camera oscura e i rullini, nel buio più assoluto, si rompevano con un energico colpo in terra, molto è cambiato da allora sotto il profilo squisitamente tecnico, ma il significato profondo della fotografia possiamo dire che sia rimasto inalterato: dipingere con la luce.
L’alternarsi delle sue passioni, come già detto, è inarrestabile, ma dal 2015 Letizia si trova in piena trans fotografica. Dopo anni di misantropia, ora la incuriosisce e stimola la realizzazione di ritratti, adora il teatro e si occupa con sempre rinnovato entusiasmo della fotografia scenica, sempre pronta a coltivare il sogno, il grottesco, l’ironico, il mistero, i confini e gli sconfinamenti.
Siamo quindi giunti al suo sconfinamento verso il campo della scrittura teatrale e delle personalità multiple, che, frequentando il mondo degli attori e registi teatrali e la sua stessa molteplicità, può dire di conoscere abbastanza.
Per saperne di più interroghiamo lei stessa per farci svelare dove porta il suo filo di Arianna.
Come mai il tuo spettacolo si intitola Poliphonia, in quale accezione usi questo termine?
Il titolo è stato scelto per l’atto unico che tratta il disturbo dissociativo di identità (DDI), più comunemente chiamato personalità multipla; volevo che fosse rappresentata con un’unica parola tale alterazione mentale, che induce le persone che ne sono affette, a creare personalità alternative dietro le quali nascondere quegli eventi traumatici che le hanno ferite al limite della sopportazione. Dunque Poliphonia: molteplicità di suoni, di pensieri e di voci. Dovendo poi dare un titolo unico allo spettacolo, che comprende anche l’atto unico La goccia, mi è sembrato che Poliphonia potesse essere adatto ad entrambi. Ne La goccia infatti, la protagonista vive una sorta di deragliamento del proprio pensiero, mettendo in atto un ribaltamento dei ruoli e trasformando se stessa da vittima in carnefice.
Perché la tua ricerca che vaga da anni nei vari campi dell’arte e della scrittura, approda ora a teatro, con il tema del doppio?
In verità il mio battesimo come autrice teatrale è già avvenuto con la messa in scena de: L’ultima notte, altro testo diviso in atti unici, interpretato da Manuel Ricco e sempre con il magistrale contributo di Fabio Bianchini per le musiche e Marco Belocchi alla regia.
Si trattava di 3 monologhi che raccontavano le ultime ore di tre uomini dalla vita avventurosa e dalla personalità affascinante: Antoine de Saint – Exupery, Emilio Salgari e Robin Williams.
In questa nuova esperienza, la tematica qui affrontata, o meglio ciò che accumuna i due testi di Poliphonia è come la mente possa mettere in atto azioni di difesa quando il dolore, il disagio e la sopraffazione ci attanagliano e non abbiamo consistenti risorse per esaminarli, affrontarli e risolverli attraverso la ragione e la consapevolezza di sé. Per non perdere il filo della tua domanda, vorrei aggiungere che il mio interesse per la psiche ha radici antiche e moltissimi dei miei racconti sono legati a scandagliare i tortuosi sentieri della mente.
Mi fai pensare a quella modalità tutta dostoievskiàna di creare personaggi complessi e indagarli a fondo. E proprio i delitti sullo sfondo, mi richiamano alla memoria sia “Delitto e Castigo” che “I fratelli Karamazov”, cosa ci dobbiamo aspettare nelle tue personalità femminili?
A mio avviso chi scrive viene influenzato prevalentemente da tre elementi: la personale visione della vita, le letture fatte, la propria indole. Quando mi appresto a scrivere, la mia attenzione viene immediatamente catturata da ciò che i personaggi pensano piuttosto che narrare i fatti che ne conseguono, questi ultimi finiscono con l’esserne una mera conseguenza. Dostoevskij, magistrale e impareggiabile indagatore dell’animo umano, creava una gran quantità di personaggi complessi che intessevano storie dalle molteplici sfaccettature, ma se dovessi trovare dei maestri ispiratori delle mie storie li troverei maggiormente in Dino Buzzati, Italo Calvino, Alberto Moravia, fra gli italiani o in Javier Marías e Sándor Márai tra gli stranieri. Cosa aspettarci dalle personalità delle mie protagoniste? Fuoco e fiamme, considerata la loro pirotecnica capacità di trasformazione.
Come si inserisce la musica del Maestro Fabio Bianchini in queste tue elucubrazioni tra follia e crimine?
Premetto che per me il contributo di Fabio Bianchini è divenuto imprescindibile. Lui collabora da molti anni con la nostra compagnia e ancor prima con Marco Belocchi e sa, con grande sensibilità, arrivare al cuore del testo restituendo allo spettatore, attraverso la musica, un’emozione capace di legare in maniera perfettamente armonica: testo, voci e azioni. Ad esempio, nel già citato spettacolo de L’ultima notte, uno dei personaggi è Emilio Salgari, raccontato nelle sue ultime ore di vita, quando, con un gesto folle, efferato e disperato si toglie la vita e Fabio Bianchini, in tale occasione, ha saputo rendere esattamente la drammaticità e oserei dire anche la poeticità di quel momento. Stessa cosa è avvenuta nel recente spettacolo de I Lunatici dove follia e crimine sono il fulcro dell’intero testo. La musica di Poliphonia è dunque la musica di Fabio e tanto basta.
Il delitto, il crimine, è solo un fatto realmente accaduto, oppure è anche un riferimento allegorico al senso di colpa interiore per un intento mai compiuto?
I fatti raccontati sono frutto della fantasia ma, all’interno delle storie, le due donne sono davvero esecutrici degli omicidi.
Potresti spiegarci in che misura il personaggio maschile interagisce con le due donne?
Il testo che vede protagonista Tania Letteri è più monologato dell’altro, ma c’è in scena anche un personaggio maschile, interpretato da Simone Destrero che, per motivi contingenti e al momento insvelabili, interagisce meno (rispetto all’altro testo con Valentina Maselli) con la protagonista. Tuttavia, in entrambi i casi, la presenza maschile è fondamentale per percepire ancor di più l’assurdo carosello che le due donne mettono in atto.
Come ha aiutato il testo la regia di Marco Belocchi, quale valore aggiunto ha dato nella rappresentazione?
Marco Belocchi è un re Mida. La sua capacità come regista è la summa di doti tecniche e artistiche che (considerato il mio rapporto personale) mi riesce difficile e anche fuori luogo enumerare. Potrei forse semplicemente dire che senza di lui non avrei voluto mettere in scena i miei testi. Comunque, a proposito del re Mida, mi auguro che gli spettatori possano apprezzare la valenza dei testi che mi pare non siano né pietra né vile metallo.
Hai ricoperto anche i tuoi soliti ruoli di costumista, scenografa e ufficio stampa? Come hai operato nella scena?
Oddio, troppi titoli! Spesso per l’Associazione mi occupo dei costumi, per lavori che prevedono diversi attori e scene più articolate, ci avvaliamo di scenografi professionisti, siamo anche affiancati da una Social Media Manager che ha contribuito anche al presente spettacolo. Non dimentichiamoci poi che sono fotografa di scena, perciò in questo caso mi occupo dell’allestimento, (elementi scenici e costumi) delle foto e della grafica.
Hai scelto due personaggi femminili, la molteplicità è più femminile o il femminile è quello che conosci meglio?
Scrivo indifferentemente storie di donne e storie di uomini, mi piace l’immedesimazione e forse in questo sono attrice anche io. Quanto alla molteplicità se è prerogativa femminile non saprei dire, ritengo piuttosto che le maschere siano peculiari dell’essere umano, sia che derivino dalla nostra volontà mistificatrice, sia che siano frutto del nostro inconscio.
Cosa farai da grande?
Questa domanda è per me molto impegnativa, considerato il significato mai veramente spiegato che attribuisco al tempo. Non soffro di nostalgia e ho difficoltà a guardare nel futuro. I progetti ci sono e mi sono vitali, ma solo quelli a breve termine. Ora sono molto presa dalla fotografia e mi piacerebbe tanto realizzare un progetto incentrato sul mondo sommerso che si cela dietro ai volti. Per quanto concerne il teatro, a parte il mio impegno nell’Associazione e nelle foto di scena, vorrei scrivere altri testi teatrali: sulla deriva del genere umano? Sull’intelligenza artificiale? Sull’essere o non essere… mah! Però coltivo un desiderio: che lo spettacolo Poliphonia possa incontrare il consenso di un vasto pubblico e che possa essere nuovamente proposto nella prossima stagione teatrale.