La poesia, la memoria, perché s’oppongano all’aspetto effimero dell’esistenza, la necessità di combattere sviscerandola, l’astrattezza del linguaggio: è dalla rievocazione dello spettro di Italo Calvino, dall’eco e sull’eco della sua voce, che si origina “Perché leggere i classici” di Davide Sacco, rilettura dell’omonima opera calviniana presente al Napoli Teatro Festival 2020 e oggi disponibile nella sua piattaforma on demand.
Scaturito dalla necessità di riportare la questione sulla lettura dei classici, dall’esigenza di impiantarla al sistema culturale attuale, lo spettacolo delinea i suoi contorni articolandosi in una struttura circolare che cerca organicità nell’alternato dispiegarsi di due tempi.
Se le note iniziali di “Claire de lune” di Debussy accompagnano l’entrata in scena di Guglielmo Poggi, incarnazione di un Calvino nubivago, intento nella vivida quanto immaginifica formulazione dei suoi personaggi, ad esso si alterna una più rumorosa presenza, quella di Francesco Montanari che sui toni altisonanti d’una trasmissione televisiva opera un tentativo di rottura della quarta parete.
Sulla trattazione di una leggerezza che si faccia mezzo di contrasto alla “lenta pietrificazione del mondo”, sul tentativo di ricomporre la frattura tra pesantezza del reale e scrittura agile, “tagliente e scattante”: sagoma nera in controluce su di uno sfondo blu notte, il giovane autore risale al senso dell’arte letteraria, ne evoca le immagini mitologiche, ne difende la funzione di arma capace di “sconfiggere mostri”.
Ed ecco, il tono si rovescia, subisce un’interruzione quando brusco si verifica il passaggio tra uno spettacolo concepito come rievocazione del personaggio e un altro, declinato come discorso cabarettistico sul personaggio stesso e tendente, di tanto in tanto, a ricercare un parallelo con le forme della contemporaneità.
Dall’irriducibilità dei classici a quella dei libri, dall’importanza di leggere all’idea di una lettura che non sia abbandonata a dispetto delle nuove forme di fruizione: nella volontà di attualizzare una tematica, propriamente degna e potenzialmente riconducibile alle dinamiche attuali, l’opera non appare però del tutto convincente quando si richiama ad un format televisivo dalle tendenze vagamente didascaliche.
“Questo non è uno spettacolo, è un rapimento sociale. Ehmm, un esperimento sociale”: in una fin da subito esternata dichiarazione di intenti, la rilettura di Sacco passa repentinamente dall’intrattenimento alla citazione cercando di restituire, sul piano strutturale, la leggerezza della scrittura calviniana.
Un risultato a tratti poco organico che ci consente però di soffermarci nuovamente su quell’inserto pubblicato dal Corriere nel 1981 che, nel concepire i caratteri di un’opera inesauribile, ci spinge ad interrogarci su come “d’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima”.