Per la prima volta a Vicenza, con Pasionaria, è approdata la compagnia spagnola La Veronal, diretta da Marcos Morau.
Veronal è il nome del farmaco utilizzato da Virginia Woolf come sonnifero, sintetizzato dal chimico tedesco Adolf von Baeyer nella città di Verona; Veronal è anche il nome scelto da Marcos Morau che, a soli 22 anni nel lontano 2005, fonda la sua compagnia di danza e la nomina così, in omaggio poetico e continuativo con la grande e amata scrittrice inglese. Morau e La Veronal, negli anni, hanno conosciuto una crescita e una fama sempre in salita, tra premi e riconoscimenti internazionali. La Veronal è giunta per la prima volta anche a Vicenza, venerdì 5 aprile al Teatro Comunale, con uno spettacolo dal nome emblematico, struggente, Pasionaria.
Questa prima regionale, inserita nel programma Danza in Rete Festival Vicenza – Schio, ha portato in scena il lavoro del coreografo spagnolo pluripremiato Marcos Morau (vincitore del National Dance Award 2013, nomina a Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere dal Ministero della Cultura francese nel 2023, per citarne alcuni), basato su una danza potente, frenetica, perfetta nei movimenti, che suscita riflessioni e rimandi a livello compositivo, scenografico e creativo. Un quadro vero e proprio dove intravedere qualcosa di noi, della realtà che ci circonda.
L’attenzione ai nomi è fondamentale: Pasionaria richiama la passione intesa come sentimento, ma anche l’impegno politico (l’appellativo veniva dato a figure femminili che spiccavano in attività politiche, in origine fu dato a Dolores Ibárruri, attivista del partito Comunista spagnolo). Il riferimento alla passione di Gesù, al dolore, al patimento fisico e spirituale è palpabile, intuibile: Pasionaria è, perciò, un’opera che condensa significati e relazioni contrastanti, ambivalenti, legati soprattutto alle problematiche attuali. L’intento non è quello di proporre una danza comprensibile, narrante, logica ma quello di lasciare campo libero ai dubbi e alle riflessioni. Gli interrogativi scattano dai riferimenti simbolici portati sul palco.
Tutto si svolge all’interno di uno spazio dominato da una rampa di scale e da una sorta di corridoio sottostante con una porta, in alto è presente una finestra che lascia intravedere l’universo, il cielo stellare in continuo spostamento. Potrebbe trattarsi di un ambiente domestico, classico o di una navicella spaziale che vaga senza meta. Al suo interno si muovono otto danzatori (Alba Barral, Ariadna Montfort, Àngela Boix, Shay Partush, Lorena Nogal, Núria Navarra, Sau-Ching Wong, Marina Rodríguez) in un vortice di movimenti e di sequenze articolate, convulse, a tratti angoscianti.
La danza si sviluppa in modalità e momenti inaspettati, nessun elemento sembra avere un nesso e un perché: ogni figura evoca, perciò, un’emozione, un senso sconosciuti. Occorre attenzione e la capacità di lasciar andare qualsiasi pretesa razionale, qualsiasi necessità di spiegazione: chi sono e cosa rappresentano questi otto interpreti? Cosa si nasconde dietro ai loro movimenti? La risposta che Marcos Morau sembra dare è questa: siamo noi, questo nostro mondo estraneo, che sembra lontano eppure è a un passo, lì vicino a noi, lo viviamo addirittura senza accorgercene. Un paradosso che fa paura e fa pensare allo stesso tempo. Siamo gli abitanti di quel pianeta alienato, narcotizzato da una sensazione di potenza e controllo, dalle conquiste tecnologiche che, in realtà, nasconde l’assenza di passione, di vita, di sentimento e la mancanza di contatto con l’altro.
I danzatori appaiono come marionette, automi meccanici, in balia di gesti e azioni rapide, contorte, complesse, conflittuali, cercano e tentano di destreggiarsi, spostano addirittura la luna all’esterno, si affannano ma rimangono chiusi in quello spazio limitato, controllato, senza tempo. L’affastellarsi di contorsioni fisiche, suoni improvvisi, evocativi, di espressioni piatte, rappresentazioni prive di personalità e di umanità dominano l’intero spettacolo. La danza, in alcuni episodi, è lenta, ripetuta, staccata, per poi via via movimentarsi, farsi tortuosa, aguzza inquietante, meccanica, perfettamente tecnica ma quasi asettica, priva di quel contenuto emotivo, umano.
Le musiche che accompagnano le ricche coreografie vanno dalla classica (Bach in apertura e in chiusura) all’elettronica, con cambi repentini e assordanti, così come i giochi di luce e la serie di effetti speciali che dominano Pasionaria. La scena è delimitata da questo quadrato illuminato su cui si muovono i protagonisti e su cui incombono i rimandi simbolici, sonori e visivi inseriti da Marcos Morau. Pasionaria trasmette l’indifferenza, la superficialità dei rapporti, la ripetizione di un vuoto che si allarga sempre di più, la lontananza, l’incapacità di mettersi in contatto con l’altro, l’estraniamento totale. La visione stessa dà la sensazione che si tratti di un brutto sogno: finché lo si vive, prima del risveglio, si percepiscono una serie di sensazioni opprimenti, che lasciano sgomenti, spaventati, in balia. Bisogna arrivare fino alla fine, subire, accumulare per lasciar campo libero alle domande e ai dubbi successivi.
Emblematici e allegorici sono i neonati (bambole) che compaiono, spesso, in braccio agli interpreti: rappresentano quel futuro, quella traccia che si illumina, rilegata dentro a delle scatole di cartone. Il domani c’è, con le sue prossime generazioni, ma viene messo da parte, viene sottovalutato, nascosto, cancellato.
In Pasionaria non esiste e non resiste nulla, regna l’irrazionalità di un mondo che ci appartiene, la perdita di quella passione necessaria alla vita e alle persone e la presenza prevalente di un altro tipo di pathos, ossia il patimento, la lacerazione dei rapporti umani, dell’animo, del futuro.
Il quadro di Marco Morau non è di facile e immediata lettura (l’incontro pre-spettacolo, aperto al pubblico, con il giornalista e critico Carmelo A. Zapparrata ha dato gli spunti necessari alla comprensione) ma lascia un duplice segno: il rimando all’oggi, la possibilità di riflettere e la visione di una danza espressiva formidabile, perfetta, creata a partire dalle stesse emozioni, dalle suggestioni degli interpreti sul palco. Una modalità alternativa ma di grande impatto per riflettere sulle mancanze e sulle assenze che abitano la realtà.
Pasionaria – coreografia: Marcos Morau in collaborazione con i danzatori – assistenza alla coreografia: Lorena Nogal – répétiteur: Estela Merlos – consulenza artistica e drammaturgica: Roberto Fratini, Celso Giménez- danzatori: Alba Barral, Àngela Boix, Ariadna Montfort, Núria Navarra, Lorena Nogal, Shay Partush, Marina Rodríguez, Sau-Ching Wong – scenografia: Max Glaenzel – costumi: Silvia Delagneau – suono: Juan Cristóbal Saavedra – video: Esterina Zarrilloluci – luci, direzione tecnica: Bernat Jansà – produzione esecutiva: Juan Manuel Gil Galindo, Cristina Goñi Adot – coproduzione: Teatros del Canal, Théâtre national de Chaillot, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Sadler’s Wells, Tanz im August –HAU Hebbel am Ufer, Grec 2018 Festival de Barcelona –Institut de Cultura Ajuntament de Barcelona, Oriente Occidente Dance Festival, Mercat de les Flors con il supporto di INAEM – Ministerio de Cultura y Deporte de España e ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya
Immagine di copertina/in evidenza: @Alex Font