Le paranoie quotidiane, il complottismo e i condizionamenti irreversibili della tecnologia possono condurre l’uomo moderno nell’abisso delle possibilità? Al punto da mettere in dubbio la veridicità della specie umana rispetto a sue possibili repliche inorganiche?
Con lacrime elettriche, andato in scena dal 24 al 27 novembre all’Argot Studio di Roma, non offre risposte ma spinge la mente a riflettere. Lo spettacolo, produzione Khora Teatro, nella sua genesi e drammaturgia è anzitutto un omaggio a Philip K. Dick, autore di romanzi di fantascienza che nel secolo scorso hanno avuto un ruolo importante nel definire un immaginario collettivo tutt’ora attuale e tangibile. Per dirne una… il suo “Gli androidi sognano pecore elettriche?” ha ispirato il cult cinematografico Blade Runner, mentre un altro film, Minority Report, ha costruito il proprio svolgimento intorno a “Rapporto di minoranza”, scritto sempre da Dick.
Francesco Morosi, Marcello Reggiani, Marco Signori e Silvia Speriani hanno dato forma ad un testo “sintetico” nell’accezione materica del termine. Il rapporto tra uomo e macchina, il potenziale della tecnica, le deviazioni del controllo, l’ansia da accerchiamento. La regia, impeccabile, di Alessandro Maggi ha guidato con fluidità i dialoghi tesi, quasi schizofrenici, tra Nancy e Philip, interpretati rispettivamente da Anna Charlotte Barbera e Valerio Ameli. Entrambi appieno nei rispettivi ruoli, con un equilibrio tra follia e ragione su cui si innesta anche un barlume di sentimento. O forse è solo un surrogato… alieno. Barberi e Ameli eseguono alla perfezione dialoghi densi di contenuto e di significati.
Le ringhiere metalliche che definiscono l’interno domestico sembrano delimitare una gabbia, una trappola, forse volutamente realizzata dai “signori” che da lassù tessono le redini del mondo. Il senso di oppressione, chiaramente ricercato in sede registica, riesce perfettamente. Sempre dall’alto vengono calate delle bolle di vetro funzionali in termini simbolici a suggerire elementi e situazioni che gli attori descrivono efficacemente nelle loro battute. Le scene, disciplinate insieme ai costumi da Francesca Tunno, sono la ciliegina sulla torta di un lavoro coraggioso e sperimentale, che merita a pieno titolo di tornare a Roma. Ci auguriamo al più presto.