Un monologo che rilegge il mito di Penelope in chiave contemporanea, con una messa in scena minimalista che esplora attesa, identità e libertà attraverso luci, spazio e simboli
Dal 25 al 27 febbraio, il Teatro della Tosse di Genova ospita “P come Penelope“, uno spettacolo che offre una rilettura contemporanea e profondamente toccante del mito di Penelope. Ideato e interpretato da Paola Fresa, lo spettacolo si propone di restituire voce e prospettiva a una figura spesso relegata al ruolo di moglie fedele e madre devota, esplorando temi universali attraverso una lente moderna.

La scena si apre in un ambiente chiuso e asettico, in cui lo spazio scenico è incorniciato da tubi al neon, dove la storia di Penelope viene messa sotto i riflettori. Questo ambiente vuoto funge da metafora per l’analisi approfondita della sua esistenza, permettendo al pubblico di immergersi nei meandri della sua mente e delle sue emozioni. La scelta di un setting così minimalista esalta la performance intensa di Fresa, che riesce a riempire lo spazio con la sua presenza magnetica.
Il processo drammaturgico prende avvio dall’etimologia del nome Penelope, che significa “anatroccola“, facendo riferimento all’episodio dell’infanzia in cui la futura moglie di Ulisse fu vittima di un tentativo di affogamento da parte del padre. Questo evento traumatico diventa il punto di partenza per una riflessione sulla formazione dell’identità femminile e sul rapporto complesso tra educazione e autodeterminazione. La protagonista, bloccata in questo spazio, ripete il gesto di fare e disfare la scena, proprio come l’omerica Penelope faceva e disfaceva la tela. Questo gesto simbolico permette di ripercorrere la sua esistenza, segnata dal rapporto con il padre, dall’attesa di un uomo che non è mai tornato e dall’interruzione per un figlio che, una volta cresciuto, ha scelto di non aspettare e di partire.
La chiave ironica con cui vengono affrontate queste tematiche universali riporta immediatamente l’indagine intorno al mito al nostro vivere contemporaneo. Fresa riesce a bilanciare momenti di profonda introspezione con sprazzi di leggerezza, rendendo Penelope una figura tridimensionale e vicina al pubblico odierno. La sua interpretazione mette in luce le contraddizioni e le sfide dell’essere donna, madre e individuo in una società che spesso impone ruoli rigidi e limitanti.
Uno degli aspetti più riusciti dello spettacolo è la capacità di Fresa di coinvolgere il pubblico in un dialogo silenzioso, invitandolo a riflettere sulle proprie esperienze e sulle aspettative sociali legate al ruolo femminile. La scenografia essenziale, composta da pochi elementi simbolici come sedie, un orsacchiotto e una bambola, contribuisce a focalizzare l’attenzione sulle emozioni e sui pensieri della protagonista, evitando distrazioni superflue. Questi oggetti diventano estensioni del mondo interiore di Penelope, rappresentando le sue speranze, le sue paure e i suoi ricordi. Le sedie, in particolare, vengono utilizzate per modulare lo spazio scenico, spostandole e riorganizzandole per creare ambienti diversi: un trono regale, una prigione, un rifugio. Ogni disposizione riflette un diverso stato d’animo della protagonista, trasformando lo spazio in una mappa visiva della sua interiorità.
Anche le luci (a cura di Paolo Casati) giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’atmosfera dello spettacolo. L’illuminazione essenziale, fatta di tagli di luce netti e ombre marcate, contribuisce a enfatizzare la sensazione di isolamento e di introspezione. Passaggi repentini dal buio alla luce mettono in evidenza i momenti di epifania e di turbamento della protagonista, mentre tonalità più fredde e asettiche rafforzano l’idea di un laboratorio analitico in cui la memoria e l’identità vengono scomposte e riassemblate.
La regia, curata dalla stessa Fresa, dimostra una sensibilità particolare nel dosare i tempi e nel creare un ritmo che alterna momenti di tensione a pause riflessive. Questo andamento armonioso permette allo spettatore di immergersi completamente nella narrazione, vivendo insieme alla protagonista le sue gioie e le sue sofferenze. La scelta di una messa in scena minimalista, unita a una recitazione intensa e sincera, rende “P come Penelope” un’esperienza teatrale coinvolgente e memorabile.

La messinscena riesce nel tentativo di dare nuova vita a un mito antico, rendendolo rilevante e significativo per il pubblico contemporaneo. Grazie alla performance di Paola Fresa e a una drammaturgia attenta e sensibile, lo spettacolo offre una riflessione profonda sulla condizione femminile, sull’attesa e sulla ricerca di sé.
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P come Penelope – testo di e con Paola Fresa – in collaborazione con Christian Di Domenico – scene e costumi Federica Parolini – luci Paolo Casati – e supervisione registica Emiliano Bronzino – regista assistente Ornella Matranga – una produzione Accademia Perduta-Romagna Teatri, Fondazione TRG di Torino in collaborazione con Officina Corvetto Festival, TRAC Teatri di Residenza Artistica Contemporanea, KanterStrasse, Dialoghi_Residenze delle arti performative a Villa Manin a cura del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia – visto il 25 febbraio 2025
ph. Alice Durigatto