La disconnessione sociale dei tempi moderni
“Se non puoi scegliere cosa fare, puoi ancora essere quello che sei?”. Questo è il quesito posto nello spettacolo presentato al Teatro Belli The Hummingbirds, I Colibrì, scritto dal drammaturgo contemporaneo americano Garret Jon Groenveld. Due lavoratori del Centro di Collocamento, un uomo e una donna, lavorano allo stesso ufficio, condividendo lo stesso impiego, ma non le loro vite private. Nemmeno il nome proprio. Non potrebbero farlo, secondo i canoni interni dettati dall’ufficio. Entrambi i personaggi si approcciano con regolarità ciclica alle proprie attività lavorative con distanza e giudizio critico, mantenendo lo stesso distacco comunicativo anche tra di loro. Nonostante tutto, questa assenza di comunicazione dura poco: si sa che l’uomo è un animale sociale, abituato da sempre a condividere con l’altro pensieri e abitudini. Gli unici a conoscerli realmente sono gli “altri”, gli esterni o forse “quelli dei piani alti” a cui devono sottoporre in forma giornaliera un rapporto dettagliato sullo svolgimento del proprio lavoro, relazionando anche intorno alle spese del giorno e perfino intorno alle occupazioni del loro rispettivo tempo privato. Sarà un avvenimento in particolare a mettere i due colleghi l’uno contro l’altro con un finale ad effetto sorpresa.
L’interpretazione degli attori risulta molto interessante ed efficace, costantemente credibile, tanto che tutto sembra svolgersi in forma molto naturale.
La scenografia di Emily Hao-Yun Hsieh è essenziale, al limite del metaforico: una serie di scatolami di cartone e fascicoli rendono evidente la quantità di lavoro che un ufficio di collocamento si ritrova a coprire ogni giorno. A sottolineare quel duro regime lavorativo, ci pensano le musiche a cura del sound design Jason Lee e il disegno luci di Zee Hanna, che nell’insieme supportano con efficacia perfino narrativa tutto l’impianto.
Siamo tutti noi in scena, prodotto alimentato della dedizione assoluta a un lavoro che – bene che vada – ci assicura la sola sopravvivenza, con la consolazione illusoria di comunicare con il prossimo per il tramite dei social media che azzerano l’interazione soggettiva a beneficio di brevi e intermittenti finestre comunicative a basso impatto emotivo. L’evocazione ricorrente di un colibrì nei dialoghi tra i due sulla scena, metaforizzerebbe questa presente deriva della condizione umana. Metafora importante che forse abbisognava di migliore trasparenza.
Un riflesso della società che quasi ricorda il contesto distopico raccontato da George Orwell in 1984 che descrive una Società come Grande Fratello che conosce tutto degli altri risucchia le anime degli altri, attivando automaticamente un senso di controllo sulle persone.
Qui la produzione è tutta americana: infatti ha debuttato lo scorso aprile al Chain Theatre di Manhattan. The Hummingbirds ha vinto il Global Age Project 2012, il Premio Internazionale Global Playwriting 2012 ed ha debuttato nel 2022 al New Jersey Rep. È stato in tournée in molte parti d’Europa e la prossima tappa sarà il nord d’Italia.
La particolarità dello spettacolo è caratterizzata dalla scelta linguistica della rappresentazione in lingua inglese con i soprattitoli in italiano e inglese. Spettacoli internazionali che poco si vedono nel panorama teatrale romano.
La domanda che assilla lo spettatore all’uscita è la seguente: “ma vale la pena accettare qualsiasi incarico lavorativo pur di sopravvivere?”La risposta da parte dell’ufficio di collocamento desolatamente sarà sempre la stessa: “Se potete camminare, potete lavorare!”.
“The Hummingbirds” di Garret Jon Groenveld – con Francesca Ravera e Leonardo Gómez – regia Kim T.Sharp – sound design Jason Lee – light design Zee Hanna – Dal 19 all 22 giugno al Teatro Belli.