Il balletto di Cranko torna in tutta la sua bellezza e introspezione psicologica interpretato dal magistrale Friedemann Vogel e dalla stupenda Nicoletta Manni.
Il fervore dell’amore, l’idealizzazione dell’amato, la delusione, lo scontro con la dura realtà, poi la ricomparsa e il desiderio di lasciarsi andare, fino alla decisione di chiudere per sempre con quel capitolo di vita. Onegin è una storia tragica di rimpianti e conflitti interiori. Alle passioni di Tatiana si contrappongono infatti l’arroganza e narcisismo di un uomo che dapprima svilisce e rifiuta il suo amore e poi si trova prigioniero di un destino di solitudine e rimorso senza tregua. Onegin rifiuta la fanciulla, ma si innamora perdutamente della donna che diventa, quando ormai è troppo tardi. Il balletto di John Cranko del 1965, tratto dal romanzo in versi di Puškin, dà forma corporea a questo lacerante travaglio interiore dei due protagonisti.

Nella nuova edizione di Onegin del Teatro dell’Opera di Roma il personaggio che conferisce il nome al balletto è interpretato da Friedemann Vogel mentre Tatiana è Nicoletta Manni. Sotto la supervisione coreografica di Reid Anderson-Graefe riprende vita in tutta la sua bellezza l’autenticità della coreografia di Cranko, con tutta l’inquietudine e il turbinio di emozioni che il connubio con la musica di Čajkovskij contribuisce a esaltare. Una ricerca del gesto vero e spontaneo che porta all’espressione di una profondità psicologica disarmante, che rende giustizia alla tragica parabola sull’infelicità umana del romanzo di Puškin. A inserirsi in questo contesto già perfetto e portare ulteriore verità e intensità è il talento tecnico ed espressivo di Vogel e di Nicoletta Manni. La star maschile del Balletto di Stoccarda ammalia con una presenza scenica magnetica e una sensibilità interpretativa emozionante e di prim’ordine. Il suo Onegin è una figura solitaria e nebulosa che si infiltra con la propria indifferenza nelle vite degli altri personaggi e con il proprio ego e cinismo annoiato da dandy le corrode e avvelena. Sprezzanti i suoi gesti nella prima scena del II atto: il modo in cui si leva i guanti, le espressioni del viso, il narcisismo e la tracotanza che tradiscono i suoi movimenti dal momento in cui entra in scena. Gioca a carte borioso e sfacciato, poi danza con Tatiana prendendola e abbandonandola costantemente fino a cingerle la vita con le braccia e a quella distanza sottile strappargli davanti la tanto sentita lettera e lasciarla sola nella disperazione. Superbo poi ruba continuamente Olga a Lenskij senza pudore. L’allegria e la superficialità regnano attorno e assistono all’ineluttabilità di quanto accade, come se il destino tragico dei protagonisti fosse irrilevante nella ricca società russa o, ancora peggio, motivo di pettegolezzo e civetteria.
Onegin è un antieroe che sperimenta il peso e la condanna delle proprie azioni, un uomo colto e raffinato che si pone in contrasto con il mondo per poi sprofondare in un pianto di solitudine e angoscia. La forza e l’onestà con cui Vogel interpreta il turbamento emotivo di Onegin e al contempo la sua impassibilità rendono davvero difficile immaginare oggi ballerini più idonei a interpretare questo personaggio e a sfilare nel proscenio indossando un lungo mantello nero con la sicurezza degna di una vera étoile. Mefistofelica la sua espressione finale nel sogno di Tatiana, in cui entra ed esce dallo specchio con fare seduttivo e destabilizzante. Insicuro e titubante quando la rivede a San Pietroburgo dopo anni e desidera parlarle ma rammenta un passato di angoscia e colpa. Se solitamente danza con Tatiana e tutte le altre ballerine come se fossero bambole da lui manovrate da cui distaccarsi a proprio piacimento, quando si innamora di lei ha luogo uno dei pas de deux più sentiti di sempre, in cui Onegin giunge a umiliare il proprio orgoglio e a implorarla di amarlo.
Anche Nicoletta Manni però stupisce e incanta con la sua freschezza eterea. Leggiadra danza con l’innocenza di una donna che crede nell’amore vero e desidera lasciarsi trasportare dall’amato verso l’infinito. Così nel pas de deux del sogno si abbandona completamente a un’illusione di felicità destinata a infrangersi sugli scogli di un destino amaro. La sua tecnica è perfetta, ma anche la sua espressività incalza passo dopo passo, creando con Vogel una miscela di chimica e alchimia che assicura un effetto magico. Si lascia sollevare come se attraverso di lui potesse conquistare l’assoluto. Straziante il pas de deux finale, in cui vive con conflittualità la dichiarazione di Onegin, divisa tra la gratitudine e l’affetto per il marito e un vecchio desiderio che si riaccende in tutta la sua antica potenza. Di malincuore riserva a Onegin la stessa formula che lui dedicò a lei, strappando la lettera e intimandogli di andarsene per sempre. Una scelta sofferta che la Manni interpreta con intensità, in bilico prima tra il concedersi e negarsi e poi disperatamente risoluta nell’addio finale. È lei a concludere il balletto con un gesto di avvilita sofferenza e una nuova consapevolezza, quella di un‘inevitabile sorte infelice per l’essere umano, una condanna uguale a quella che descrisse lo stesso Čajkovskij secondo quanto riportato nel saggio Introduzione alla Dama di picche di Rubens Tedeschi: “Vi è nel destino una forza che ci impedisce di essere felici, che veglia gelosamente a che la nostra felicità e la nostro serenità non siano mai pure, che pende sul nostro capo come la spada di Damocle e distilla inesorabilmente un lento veleno nell’anima. Bisogna sottomettervisi e rassegnarsi a una tristezza senza fine. Tutta la nostra esistenza è una serie di realtà dolorose e di sogni effimeri, di miraggi di gioia. Nessuna salvezza. Noi andiamo alla deriva su questo oceano fino a che esso ci sommerge e ci sprofonda nel nulla”.
Il resto del cast fa un lavoro notevole, a partire da Alessio Rezza (Lenskij) e il suo addio alla vita sotto la luce della Luna.
Susanna Salvi forse pecca nel non riuscire a dare il giusto brio e la necessaria frivolezza ad Olga, ma si distingue per grazia e tecnica e il suo potenziale drammatico esce tutto fuori quando Olga e Tatiana tentano invano, come fantasmi scacciati, di convincere Lenskij e Onegin a non duellare. Prima l’uno e poi l’altro le gettano a terra per ribadire la necessità del conflitto.

La profondità e la bellezza struggente della coreografia di Cranko risuona al Teatro Costanzi con una magnificenza sontuosa, immergendo lo spettatore nella complessità dei classici russi, tra romanticismo e fastosità, introspezione e critica a una società basata sulle apparenze e sulla vacuità. Scenografia, costumi e coreografia sono aderenti e fedeli alla visione originale di Cranko, ma il tutto conserva un’energia intensa e vitale che assicura un’esperienza, anche e soprattutto grazie alla bravura dei primi ballerini, irripetibile. Un sipario trasparente divide una scena dall’altra, ma è anche strumento per delineare ricordi e pensieri e porre in evidenza l’individualismo tragico di Onegin, un personaggio che con la sua ambiguità e fallibilità umana rimanda anche al solipsismo nichilista e ci è più vicino che mai.
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Onegin – Balletto in tre atti ispirato al poema Evgenij Onegin di Aleksandr Puškin – Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij – Elaborazione musicale di Kurt-Heinz Stolze – Direttore: Philip Ellis – Con: Nicoletta Manni (Tatiana), Friedmann Vogel (Onegin), Susanna Salvi (Olga), Alessio Rezza (Lenskij) – Coreografia: John Cranko – Supervisione coreografica: Reid Anderson-Graefe – Assistente alla coreografia: Yseult Lendvai – Scene e costumi: Elisabeth Dalton -Luci: Steen Bjarke – Orchestra, Étoiles, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma – Allestimento Dutch National Opera and Opera and Ballet, Amsterdam – Teatro dell’Opera dal 3 al 9 aprile 2025