Emozioni e memorie in Scena al Festival ConFormazioni
La sera del 27 aprile 2024 a Palermo, nell’ambito dell’ottava edizione del Festival ConFormazioni presso lo Spazio Franco, un prolifico teatro che si situa all’interno dell’area dei cantieri culturali alla Zisa, hanno calcato il tappeto della danza l’artista giapponese Kenji Shinohe Iwate con il suo spettacolo K(-A-)O e Giovanna Velardi, ospite con Autobiografia, Ceci n’est pas une/mon autobiographie.
Ad aprire la serata è stato l’artista giapponese che, nella sua breve performance, ma dall’alta intensità ironica, ha affrontato il tema dell’espressione delle emozioni e dei sentimenti. Shinohe Iwate ha mostrato attraverso una partitura corporea che ha fatto uso anche dell’interazione in scena con uno smartphone, quanto sia ormai divenuto difficile mostrare agli altri la propria vasta sfera emozionale, depredata dal regime Infocratico, ovvero dalla continua necessità di informare gli altri sui social riducendo le stesse emozioni a semplicistiche e restrittive emoji. Kenji Shinohe Iwate si muove in scena inscrivendo nello spazio azioni rapide, specchio del bombardamento di post, storie e real contenenti emozioni falsate a cui si è giornalmente sottoposti. La sua mimica facciale, inserita in un costume semplice e forse anche anonimo, produce nel pubblico continue risate, ma il suo frenetico andare avanti e indietro per la scena è capace di instillare in ogni spettatore una riflessione su come le emozioni siano divenute mere informazioni che si esauriscono nel momento stesso in cui divengono merce nella vasta vetrina dei social. Un continuo informare utenti lontani e sconosciuti delle proprie emozioni con l’intento di renderli vicini affinché tutto diventi disponibile nell’immediato e che elimina quell’aura che invece è propria della lontananza. Tutto si svela, rivelando una perdita di intensità e interesse agli occhi degli altri. Una continua informazione che non sopravvive oltre l’attimo. Un’informazione che si consuma nell’attimo della sua novità.
Le emozioni su cui fa riflettere Shinohe Iwate non riguardano più esperienze, ma soltanto vicende, poiché per essere considerate esperienze dovrebbero essere oggetto di una ri-narrazione. Un’azione quella della narrazione, oggetto a lungo degli studi di Walter Benjamin, che oggi è del tutto impossibile di fronte alle briciole di vita insignificanti e generalizzate che vengono di continuo mostrate e ostentate.
Secondo Benjamin, il racconto non si esaurisce poiché esso conserva la propria forza raccolta e sa dispiegarsi anche a distanza di tempo. A non esaurirsi sono anche le partiture coreografiche e drammaturgiche contenute in Autobiografia, il secondo spettacolo della serata di e con Giovanna Velardi, artista palermitana che nel capoluogo siciliano lavora come insegnante ma anche e soprattutto come autrice e performer.
La sua creazione, a metà strada tra il teatro e la danza, si presenta in scena intrisa di un trascorso avvincente, ironico e a tratti misterioso. La performer, sola all’interno dello spazio deputato all’azione, evoca luoghi lontani che vivono nel ricordo e, per l’appunto, nella narrazione. Fa uso della danza, della parola e di oggetti di scena, tra cui una sedia attraverso la quale si inerpica per mondi altri e un piccolo coniglietto di peluche telecomandato che da un momento all’altro scorrazza per il palco giungendo fino ai suoi piedi. Una scena dai colori caldi, avvolgente e confortevole che si arricchisce di ulteriore fascino mediante il sound design di Angelo Sicurella.
Autobiografia conserva in sé una forza raccolta grazie a differenti esperienze e che, narrate una dopo l’altra, non si esauriscono, bensì arricchiscono il pubblico che vive a contatto con l’artista nuove emozioni non immediate, ma profonde e capaci di ri-presentarsi anche a distanza di tempo. Attraverso questo lavoro, Giovanna Velardi ripercorre la sua personale produzione artistica che si dispiega nell’arco di 20 anni. Sulla scena fa i conti con la sua autobiografia cercando di tracciarla mediante una memoria che rimbalza tra realtà e finzione. I frammenti coreografici che va a rintracciare nel suo vissuto artistico generano un turbinio narrativo che affronta il privato mettendolo in dialogo con una prorompente memoria autoriale. Emergono in scena ammalianti tracce di partiture coreografiche che per gli spettatori affezionati della Velardi evocano memorie collettive di visioni trascorse delle sue performance storiche.