Tra le tante cose travolte dall’emergenza del Coronavirus c’è anche una storia di successo del cinema italiano che si è distinto alla 70° edizione del Festival Internazionale del cinema di Berlino, svoltosi dal 20 febbraio a domenica 1 marzo.
Si tratta anche della prima Berlinale diretta da Carlo Chatrian, torinese, già direttore artistico del Festival di Locarno, con una giuria prestigiosa che vede tra gli altri Jeremy Irons come presidente, l’attrice Bérénice Bejo, ed in rappresentanza dell’Italia l’attore Luca Marinelli.
Un successo per il cinema italiano, passato troppo sotto silenzio a causa della chiusura di tutte le sale cinematografiche e delle notizie drammatiche sull’epidemia che ha travolto le nostre vite.
Vale però la pena parlare dei due prestigiosi premi: l’orso d’argento come migliore attore ad Elio Germano per il film “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti sulla vita di Antonio Ligabue, e l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura ai Fratelli D’Innocenzo per “Favolacce”.
Entrambi i film offrono diversi spunti di riflessione. Certamente il film su Ligabue, con l’interpretazione di Elio Germano, giustamente premiata perché davvero toccante.
Il racconto parte dalla mera biografia ma subito se ne discosta per parlare più in generale della diversità, dei reietti, degli incompresi perché dissimili. I quadri di Ligabue ci parlano di una lotta continua per non soccombere, per riscattarsi ed i suoi ritratti appaiono come un grido di aiuto, un segnale per essere riconosciuto come uomo.
Elio Germano bene interpreta questo lato del pittore ritenuto per anni pazzo e perseguitato fino all’esplodere della sua fama, ed è commovente quando ritirando il premio dice “a tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta e ad Antonio Ligabue e alla grande lezione che ci ha dato”.
Non vuole sentire parlare del suo talento di attore, ma pone sempre l’accento sulla coralità dell’opera cinematografica che senza i suoi tanti protagonisti non esisterebbe.
L’altro successo italiano è quello dei fratelli D’Innocenzo, i due gemelli romani, classe 1988, di Tor Bella Monaca, vissuti in molti paesini del litorale romano (Anzio, Nettuno, Lavinio) seguendo il padre pescatore e che firmano i loro film come se fossero un’unica persona. Avevano già colpito la critica e il pubblico del Festival di Berlino 2018 con la loro opera prima “La terra dell’abbastanza”, girata in una periferia romana gentile, media, come dice il titolo “abbastanza”, non troppo degradata da voler scappare e non abbastanza confortevole da voler restare.
Anche in “Favolacce” i due fratelli si cimentano nella descrizione di una realtà sempre in bilico, pronta ad esplodere, mentre i draghi si nascondono dove meno te lo aspetti. Una realtà vista con gli occhi dell’infanzia, una sorta di favola nera, raccontata attraverso il diario di questa bambina, con al centro ancora una volta una periferia romana, Spinaceto.
I due fratelli dichiarano di essere affascinati dall’immaginario infantile, dove tutti i colori sono più vividi, i sentimenti dirompenti e la realtà qualcosa che colpisce direttamente in viso, e di aver voluto fare questo film prima di essere troppo lontani dall’infanzia e di aver dimenticato quelle sensazioni.
I fratelli D’Innocenzo sono due personaggi divertenti ed ironici, e le loro battute informali sul palco hanno divertito il pubblico di Berlino e Jeremy Irons.
Ma c’è un filo che lega questi due premi ed è Elio Germano, nel cast anche di questo film.
Gli altri attori provengono dal teatro come Gabriel Montesi e la voce narrante che è quella di Max Tortora.
Non resta quindi che attendere le riaperture dei cinema per goderci questi due successi italiani e gioire ancora una volta per i riconoscimenti internazionali, sapendo che in ogni caso saranno due lavori che ci daranno molteplici spunti di discussione.