Una luce fredda illumina l’interno della casa, malinconica una nenia napoletana si effonde nell’ambiente, una donna, assopitasi sulla scala, aspira il fumo di un sigaretta mentre osserva la sua immagine sul fondo del posacenere: “hai preparato la cena?” –minacciosa la voce del marito la ridesta.
Non mero un battibecco tra coniugi, ma innesto di una nevrosi dai risvolti grotteschi, la scena d’avvio di “Notturno di donna con ospiti”, di Annibale Ruccello fu rappresentata nel 1983 e poi di nuovo nel 1993 per la regia di Enrico Maria Lamanna in grado di restituire l’ineccepibile stravaganza immaginifica del celebre autore partenopeo.
E’ la recente vicenda della sua protagonista Giuliana De Sio, reduce dal periodo di convalescenza in seguito al contagio del Covid19 e fuori pericolo a partire dal 13 Marzo, che ci offre lo spunto per un’opera che la vede incarnare i sintomi di una diversa claustrofobia, le cui cause affondano le radici nell’angoscia di una quotidianità lacerante.
Le sue azioni si ripetono, quasi rituali, uguali a se stesse; l’attesa di una telenovela, il pelar patate, la pulizia forsennata dei vetri e dei pavimenti: schiacciata da un’esistenza in bilico tra vuoto e solitudine, Adriana è sopraffatta dalla sua stessa insofferenza fino a cadere addormentata su una poltrona.
Ed ecco un brusio, passi come tonfi al di là della veranda; indecorosa e aggressiva, una donna vestita di rosso si precipita nel salotto prima di una serie di presenze invadenti ora concrete, ora simulacri persecutori entro un immaginario che le invoca e le respinge.
Se Rosanna (Rosaria De Cicco) non esita ad impadronirsi senza scrupoli della totalità di spazi, anche Arturo (Andrea De Venuti) e Sandro (Luigi Iacuzio) prenderanno parte ad un surreale, sguaiato comizio domestico presentandosi come quegli elementi perturbanti erroneamente invocati in un frangente di solitudine.
Nella repentina alternanza degli umori, Adriana assiste inerme al riempimento paradossale di quegli spazi fino ad allora deserti, interpretata da una Giuliana De Sio in grado di renderne magistralmente tanto la frustrazione, quanto la “schizofrenia espressiva”: sarà l’inatteso marito (Francesco di Leva), subentrando di colpo all’angusto convivio, ad aggravare ulteriormente il suo senso di impotenza conducendo la donna a proiettarsi nelle suggestioni di un passato altrettanto inospitale.
Veicolate dalla voce di Gino Curcione, i genitori appariranno come presenze tormentose, a metà tra passato e presente, facendo leva sul senso di inadeguatezza e spalancando sull’ormai destabilizzato universo femminile, un abisso ancora più grande.
Procedendo su toni ora grotteschi, ora eccentrici; la commedia giungerà al suo climax drammatico nell’intersecarsi dei due piani immaginifici, nella dolorosa collisione tra sofferenza infantile e dolore: sempre più stridente la feroce battaglia consumerà la mente di Adriana, moderna Medea la cui mente alterata la condurrà a macchiarsi di un irrimediabile delitto.