Una scimmia dalle zampe insanguinate che si aggira intorno ad un set distrutto e abbandonato. Questa l’immagine d’apertura di Nope, ultimo prodotto del premio Oscar Jordan Peele.
Uscito nelle sale l’11 agosto, Nope è il terzo film del regista che con Get Out (2017) e Us (2019) ha rivoluzionato il modo di fare cinema horror. Come accadeva nei film precedenti, Nope sfrutta la commistione di genere horror e commedia al fine di inscenare una rappresentazione metaforica di temi sociali e civili degni di un’ampia riflessione. La differenza risiede nel fatto che in Get Out e Us le tematiche affrontate sono facilmente individuabili, ma soprattutto esibite con una spettacolarità tale da costringere lo spettatore inerme a digerire una cruda verità, prepotentemente servita davanti ai suoi occhi.
Nope, invece, è un prodotto completamente diverso. Innanzitutto non ci sono solo l’horror e la commedia ma un pastiche di molti altri generi: si spazia dal western alla fantascienza, dall’azione all’home invasion, senza contare i momenti di ironia e leggerezza che allentano la tensione e avvicinano ancora più empaticamente lo spettatore ai protagonisti.
La confusione sul genere di appartenenza è suffragata poi da una trama che non prende il via se non a metà pellicola. Il protagonista è OJ Haywood Jr. (Daniel Kaluuya) che insieme alla sorella Em (Keke Palmer) dirige il range di famiglia dopo che il padre viene ucciso da una moneta caduta inspiegabilmente dal cielo. L’evento tanto traumatico quanto misterioso non viene più menzionato se non mesi dopo, quando altri fenomeni paranormali cominciano ad accadere nel ranch: blackout, cavalli scomparsi e strani oggetti volanti nel cielo diventano l’ossessione di OJ, convinto di aver scoperto la presenza di un UFO. Per i due fratelli, oramai sul lastrico per la loro incapacità di gestire l’azienda di famiglia, l’evento diventa l’occasione d’oro di ottenere un filmato autentico, la scoperta di qualcosa di sensazionale che può donargli fortuna e fama.
A ben vedere il film sfrutta l’immaginario western per poi virare su quello fantascientifico dei film home invasion anche se l’unione dei due generi non è una novità se solo si pensa al successo di opere fantawestern come Cowboys & Aliens o Westworld. Il vero colpo di scena avviene quando il protagonista, ormai sulle tracce del suo UFO da un bel po’ di tempo, ha la giusta intuizione: non si tratta di una navicella extraterrestre ma di un animale.
Inizia così una caccia all’animale che, se da un lato aumenta esponenzialmente la spettacolarità della pellicola, dall’altro inscena un ulteriore cambio di rotta nel genere. Ci si trova di fronte ad un blockbuster che guarda ad altri blockbuster, con particolare riferimento ai capolavori di Spielberg, Lo squalo e Jurassic Park: un gioco spaventoso e pericoloso fra predatore e preda, in cui uno solo può vincere e restare in vita.
Ma se nei capolavori spielbergiani si desidera fuggire dal mostro, in Nope l’intento è provocarlo per ingabbiarlo nella camera da presa: non si vuole il suo corpo ma una testimonianza dello stesso. La pellicola mette in scena il desiderio bulimico dello showbusiness di rendere ogni cosa merce di valore, vuoto spettacolo al servizio del piacere collettivo.
In questo senso diventa paradigmatica la scena iniziale di Gordy, la scimmia protagonista di Gordy’s Home, che spaventata dallo scoppio di un palloncino sul set impazzisce e ferisce quasi mortalmente il cast. Gordy è un animale libero da costrizioni fisiche ma di fatto imprigionato in un’esistenza in cui, nel nome del successo, diventa schiavo del sistema mediatico. Sullo stesso set che gli ha donato fama eterna trova la fine di ogni speranza di libertà e, infine, la morte.
La scena della follia di Gordy è forse il momento di maggior tensione della pellicola: il sangue, le urla strazianti delle sue vittime e la totalizzante supremazia dell’istinto sulla ragione rendono le immagini altamente disturbanti; ma in una frazione di secondo il regista riesce a spegnere le sensazioni negative lasciando il posto ad un sollievo improvviso, il ritorno alla ragione della scimmia che torna innocua com’era. L’ambivalenza dell’animale è quella che contraddistingue anche il mostro principale, un essere che agisce per istinto, probabilmente anch’esso spaventato come la scimmia innocente.
La vera cattiveria, pensata e studiata, è quella degli umani: il regista Antlers Holst (Michael Wincott) non si accontenta di riprendere il mostro da lontano ma gli corre incontro, vinto dalla brama di conoscenza, dal desiderio di ottenere delle immagini autentiche che soddisfino i bisogni voyeuristici del suo pubblico. Lo spettacolo vale il rischio della propria vita e questo dice molto sul mondo dello showbusiness. Vita e morte, paura e sollievo, horror e commedia: un film fatto di opposti, alimentato dai contrasti e per questo difficile da digerire.
In conclusione, Nope non è Get Out né Us ma ad essi guarda. Il desiderio di analizzare la società moderna e di rintracciare in essa questioni ataviche permane anche in questa pellicola che però osa di più: la fotografia, la colonna sonora e gli effetti speciali sono asserviti alla ricerca della spettacolarità che rende il film vicino ad un blockbuster, senza però dimenticare l’autorialità di un regista che ha qualcosa da dire e che trova sempre un modo originale di esprimerlo.