di Francesco Blasi
Lo scorso 19 novembre è uscito il nuovo album di Marracash, intitolato Noi, loro, gli altri. A due anni dall’uscita di Persona, ormai considerato una pietra miliare del rap italiano, Marra ha voluto alzare ancor di più l’asticella con un progetto che, a detta dello stesso artista, chiude un cerchio fatto di inquietudine e domande che hanno creato una netta contrapposizione tra Fabio (nome di battesimo dell’artista) e Marracash. Questo perché Noi, loro, gli altri segue la via intensa e carica di significati tracciata da Persona, con la sostanziale differenza che il focus non è più posto su sé stesso, ma sulla società che lo circonda.
Pochi featuring, beat campionati, citazioni e contenuti tutt’altro che scontati sottolineano un carattere anacronistico dell’album. A Marra non serve sottostare alle regole del mercato musicale odierno, dominato dalla poca originalità e da personalità effimere, gli basta essere sé stesso per avere un successo garantito. Non a caso i primi due pezzi dell’album si intitolano Loro e Pagliaccio, dove si susseguono, a suon di punch line, critiche al sistema italiano e ai finti appartenenti del mondo del rap, condite da un incredibile lavoro dei produttori Marz e Zef, che miscelano la lirica con l’hip hop campionando un colosso come Luciano Pavarotti.
Tra i pochi featuring (in totale tre, ai quali si aggiunge qualche cameo sparso per l’album) non poteva mancare quello con Guè nella traccia Love, per un sodalizio che dura da ormai vent’anni e di cui gli appassionati di rap non saranno mai stufi. In un pezzo che, per l’utilizzo di un sample preso dalla famosa hit Infinity e per il flow nostalgico, profuma di anni 90, i due artisti ruotano intorno ai concetti di amore e devozione per amici, donne, strada e tutte quelle componenti che li hanno accompagnati nel corso della loro vita: “Per gli amici veri che ho, per tutte le storie che so, pregherò per chi nuota ancora nei guai, chi vuole scappare e non può”.
Sorprendono invece brani come Crazy love e Laurea ad honorem, dove il rapper della Barona abbandona il rap crudo per cimentarsi nel canto. Anche uscendo dalla sua confort zone Marra riesce a risultare credibile, mantenendo la propria attitudine e seguendo il filone di tutto l’album. In particolare in Laurea ad honorem con Calcutta, parla di una ragazza sfortunata, sfiduciata e che vive di illusioni, ma con un enorme talento che prima o poi verrà fuori, per una canzone che può essere di ispirazione ai ragazzi che provengono da contesti difficili.
In Noi, Dubbi e Io torna l’introspezione a cui Marracash ci sta abituando, con una poetica fatta di domande, redenzione e voglia di riscatto dove diventa lo psicologo di sé stesso. Brani nostalgici, significativi ed emozionanti con i quali l’artista spiega che pur avendo raggiunto il successo professionale ed esaudito tutti i sogni che aveva da bambino, guardandosi intorno vede di non aver costruito niente di solido nella sua vita privata: “Ho quarant’anni e mai visto un legame che rimanga. Un amore materno, viscoso, non mi serve, non lo voglio, per me è solo un modo per nascondersi dal mondo”. Una contrapposizione tra persona e personaggio che sembra risolversi nel pezzo Nemesi con Blanco, dove Marracash sembra aver trovato la soluzione per sconfiggere tutte quelle paure e insicurezze che emergevano da Fabio e, con un urlato quasi catartico nell’ultimo pre-ritornello, vuole dimostrare di aver chiuso definitivamente con questo bipolarismo che gli stava marcendo dentro: “C’è un antidoto, spingi e sono libero, sei mai stato libero? Forse sono libero.”
L’album si chiude con Cliffhanger, un brano che ricorda il Marracash 1.0, fatto di incastri sublimi e punch-line, e testimonia il fatto che questo viaggio nella sua intimità è giunto realmente al termine.