Al Mudec di Milano una mostra dedicata a una delle artiste più importanti del XX secolo
Dal 5 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, il MUDEC di Milano ospita la prima retrospettiva italiana interamente dedicata all’artista franco-americana Niki de Saint Phalle. Curata da Lucia Pesapane, in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation, la mostra ospita oltre cento opere, offrendo un viaggio che ripercorre l’intera carriera dell’artista, dagli esordi alle ultime creazioni.
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Il lavoro di de Saint Phalle è stato fin da subito legato a un’esigenza terapeutica, essa stessa si definiva “art survivor”, per raccontare il fondamentale ruolo curativo dell’arte. I suoi primi lavori, che la resero nota a livello internazionale, sono realizzati all’inizio degli anni 60’, i cosiddetti “Shooting Paintings“. Con queste opere, l’artista esprimeva la sua rabbia non solo verso la famiglia d’origine, ma anche contro la società. Si trattava di sculture di grandi dimensioni composte da oggetti vari e sacchetti di vernice, che venivano fatti esplodere dai colpi di fucile sparati dall’artista. Queste performance, di grande carica emotiva, la inserirono nel movimento del Nouveau Réalisme, di cui faceva parte anche il suo compagno Jean Tinguely.
La prima sala della mostra è dedicata al fervore di queste opere giovanili, create dalla ribellione e dalla rabbia. Accanto alla proiezione video delle performance dei Tiri, si trovano alcune opere “vittime” degli spari, tra cui la serie delle Cattedrali e degli Altari, con cui l’artista denuncia il potere della Chiesa. L’uso del fucile, simbolo di un sistema patriarcale oppressivo e violento, diventa il suo primo strumento di contestazione.
Il viaggio artistico di Niki de Saint Phalle è strettamente legato al suo percorso psicologico personale. La sua visione del mondo muta insieme agli eventi della sua vita privata e in concomitanza con il suo percorso terapeutico. L’espressione della rabbia, caratteristica dei primi lavori, lascia poi spazio a una fase in cui l’artista affronta la propria sofferenza, per approdare ad uno stato di gioia, che la porta a credere in un mondo nuovo, espresso attraverso le Nanas.
Queste figure femminili monumentali diventano simbolo di speranza e di un mondo futuro in cui le donne, che hanno raggiunto finalmente la completa emancipazione, diventano sovrane della gioia. I materiali utilizzati per realizzarle – resine, colori vivaci, mosaici di vetro e specchi – riflettono una prospettiva luminosa e brillante. La loro imponenza rimanda a un mondo libero da oppressioni e disuguaglianze. Con queste opere l’artista si fa portavoce sempre più impegnata del movimento femminista degli anni 70’, che intendeva sradicare completamente il pensiero patriarcale e sovvertire l’ordine sociale che ne conseguiva.
La grandiosità delle Nanas trova la sua massima espressione nel progetto del Giardino dei Tarocchi, di cui la mostra espone alcune opere legate al percorso di progettazione. Dopo aver visitato Parc Güell a Barcellona, de Saint Phalle si lascia ispirare e comincia a sognare di dare vita al mondo fantastico e gioioso di cui facevano parte sia le Nanas sia un variegato bestiario, legato al mito e alla leggenda.
Nel 1971 iniziano i lavori, dopo circa vent’anni a Garavicchio in Toscana l’artista vede realizzarsi il suo primo progetto di monumentali dimensioni. Il Giardino dei Tarocchi crea un legame tra un mondo onirico e il territorio, fondendo forme del paesaggio toscano con l’arte, per dare vita alla visione profetica dell’artista.
La sala successiva riporta l’attenzione sui temi sociali, al centro si trovano due Obelischi, realizzati negli anni in cui l’AIDS si stava diffondendo drammaticamente, causando emarginazione e stigmatizzazione. Con una volontà pedagogica, le opere presenti in questa sezione miravano a informare e sensibilizzare il pubblico, per consentire a chiunque di avere gli strumenti per abbattere le barriere create dalla società.
L’ultima parte del percorso espositivo è dedicata ad una sorta di “catarsi finale” attraverso la proiezione di “estratti” del film Daddy, diretto insieme a Peter Whitehead. Il lungometraggio del 1973 vede la regista uccidere simbolicamente il padre; il trauma si presenta come il protagonista dell’opera, con la quale l’artista ha cercato di esorcizzare un dolore infantile e liberarsi dai fantasmi di un passato, segnato da abusi e oppressioni familiari. Il suo trauma infantile diventerà il protagonista di un’altra opera del 1994 Mon secret,in cui viene rivelato il segreto di un abuso sessuale che aveva subito dal padre all’età di 11 anni.
Negli anni Novanta, l’artista si trasferisce a San Diego a causa di problemi di salute. La presenza del mito e del sacro, costante nel suo percorso artistico, la porta ad avvicinarsi al culto dei popoli che abitavano il sud della California. Celebrando una spiritualità legata al popolo nativo la scultrice inizia una nuova impresa di dimensioni monumentali, il Queen Califia’s Magical Circle, un giardino dedicato alla mitica fondatrice della California, la regina Califa. Con le sue ultime creazioni si percepisce la fine di un percorso legato alle ingiustizie del mondo terreno, materiale, che ha portato alla liberazione dell’arte consacrata oramai ad una realtà spirituale. Niki de Saint Phalle muore nel 2002 prima di vedere il suo progetto concluso.
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Il viaggio che ci propone questa retrospettiva può definirsi un percorso comune di riflessione, il parallelismo tra il tormento personale e quello verso la società può rappresentare un motivo universale. Cambiare la società è possibile? Sì, aveva risposto de Saint Phalle durante un’intervista, con la proposta di un nuovo mondo di gioia rivelato dall’arte. Le sue opere erano l’unico modo con cui poteva portare sulla terra una dimensione profetica, ben precisa, in cui veniva esaltata la libertà di ogni individuo di gioire.
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Niki de Saint Phalle – a cura di Lucia Pesapane in collaborazione con Niki Charitable Art Foundation – Mudec di Milano dal 5 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025
Foto di copertina: © Aurélien Mole – 2024 NIKI CHARITABLE ART FOUNDATION